Ladytron – Velocifero

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Ammetto di aver sempre snobbato un gruppo come i Ladytron, ma non riesco nemmeno a spiegarmi bene il perché. Troppa musica in giro forse e troppo poco tempo per soffermarsi sui particolari, o molto più probabilmente perché ce l’ho un pochino con gli anni ottanta, non riesco a digerire un certo tipo di musica (e di estetica) e sono sospettoso verso qualunque artista si richiami troppo a quel periodo buio e tempestoso. Dovrei prestare meno ascolto a certa critica musicale spocchiosa ed arrogante e lasciarmi guidare di più dall’istinto, e magari dovrei ricordarmi anche gli ottanta non sono stati solo Sandy Marton e Sabrina Salerno, ma sono stati anche tante altre cose di indubbio valore artistico. Mea culpa.
Che poi tutti insistono a dire che i Ladytron si ispirano in maniera calligrafica agli anni ottanta, ma non mi pare poi tanto vero. Più o meno, il loro trick è tornare alle radici del pop ottanta e segarle, ma con rispetto e voglia di fare cose nuove. Un disco come ‘Velocifero’, ad esempio, è una delle cose più fresche e personali che mi sia capitato di sentire ultimamente. A metà strada tra pop puro e sperimentazione, prende sì a prestito il lato buono degli ottanta (‘Violator’ dei Depeche Mode, i New Order, gli Human League), ma lo rielabora in maniera rispettosa dei maestri e nello stesso tempo sfrontata ed audace. I Ladytron hanno gran classe e dunque ne esce una cosa scura e minacciosa fuori ma con un animo gentile dentro, un’opera dove certi Nine Inch Nails scoprono con soddisfazione la melodia più immediata e i Cocteau Twins diventano improvvisamente meno eterei ed esistenzialisti. E di conseguenza, tutto ciò che un gruppo-meteora come gli Sneaker Pimps avrebbero sempre desiderato scrivere (Ghosts), ritornelli impossibili che ti si appiccicano addosso e che se solo la gente capisse potrebbero sbancare le charts di mezzo mondo (I’m Not Scared) e che potrebbero dare il via alle danze se solo la gente che popola i locali indie fosse meno snob e piena di sé (They Gave You a Heart, They Gave You a Name, Tomorrow), coraggiosi e raffinati brani cantati in lingua bulgara (Kletva), i My Bloody Valentine appena usciti da una clinica di disintossicazione (Seasons of Illusions, Ghosts).
In poche parole, un disco completo e sicuro di sé dotato alcune potenziali hit da classifica e che nel suo insieme necessita di attenzione e più ascolti per essere capito, ma che una volta assimilato del tutto molto difficilmente se ne esce dal lettore cd. Con un po’ di fortuna potrebbe addirittura regalare ai Ladytron il meritato successo di massa.