Methel & Lord – Steps of a Long Run

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Devo ammettere di essermi innamorato di questo disco, perché non ha nessun appeal, se non quello di farsi i cazzi propri dall’inizio alla fine. Già dai titoli: ‘gnu & gna’, ‘pizza mafia & mandolino’. Già dal suo modo di mettere insieme, proprio nei primi brani, riferimenti ad una musica d’avanguardia che non esiterei a definire zappiana se solo non conoscessi uno zappiano convinto (pizza mafia…), insieme a retaggi Mike Pattoniani e Ipecac o Primus (Escape from Signifiance). E nello stupire infine con una svolta, all’altezza del quarto brano (Maybe), verso un’elegante forma ballata lisergica che ricorda da vicino i Pink Floyd più grandi di ‘Atom Heart Mother’, ‘Meddle’ e forse anche ‘Dark Side’ (per perfezione classica). Ma non è stato amore a prima vista, anzi. Ai primi ascolti l’ho trovato pretestuoso, presuntuoso, autoreferenziale, inutilmente strambo, oscuro e complesso. E i suoi difetti, proprio come in ogni storia d’amore che si rispetti, sono diventati motivi di grazia. Segue Dear Tony, un brano jazzato che potrebbe essere uscito da un noir anni 40’ dei Man Man, e Hippocondriac, che invece estrae la punta più acida dell’ispirazione di The Niro, per coniugarla a questa meravigliosa rilettura d’amore degli anni dei porci con le ali. Stempera nella commovente Washed Untrue, che quasi quasi ti viene in mente anche un po’ Tom Waits (quello di The Heart of Saturday Night) per intensità ed atmosfere. E chiude con i sette minuti di Grandfather, una poesia popolare spiega con la grazia di una generazione romana ormai passata perché l’arte non sia roba per noialtri, “che nun c’avemo vocazione, che semo gente troppo semplice”. A me questo disco lascia con un buon proposito: che la prossima volta che sento qualcuno parlare di “best kept secret” a proposito dell’ultimo disco paraculo di questo o di quell’altro, beh, io gli rido in faccia. Ah, i Methel & Lord sono di Roma.