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Ogni tanto mi capita di avere un ospite in casa e di mettere ‘Yankee Hotel Foxtrot’ nello stereo. Sorridendo, dico sempre “probabilmente questo gruppo mi salverà la vita, prima o poi” e all’interlocutore scappa una risata sulle note caracollanti di I Am Trying To Break Your Heart. Normale, penso, ancora non sa.
Non sa che quella canzone dall’andamento quasi incerto fa parte di un piccolo (?) capolavoro. Non si ha neanche il tempo di spiegare, perché parte quel gioiellino pop che è Kamera. Ed ecco che l’espressione dell’ascoltatore cambia di colpo, mentre inizia a rendersi conto del punto di forza di questo album: il songwriting asciutto ma molto dettagliato di Jeff Tweedy, uno che ci sa fare. Non è una dote roboante che viene ostentata volgarmente: è qualcosa di discreto, quasi timido. In pochi sanno scrivere canzoni così ricche di piccoli particolari facendole apparire semplici ed essenziali. Così, l’atmosfera prende prima una piega quasi intimista con Radio Cure e Jesus Etc. (splendida, con archi sublimi e voce quasi emozionata), per poi concedersi di nuovo alla spensieratezza con Heavy Metal Drummer e I Am The Man Who Loves You (sorretta da una nervosa chitarra elettrica, tanto per ricordarci che gli amplificatori sono ancora accesi). Il finale, come è giusto che sia, diventa lento e riflessivo. Poor Places è un po’ l’emblema di quest’opera: una melodia e un accompagnamento che si rifanno alla tradizione folk-rock americana, ma lievemente sfregiati da arrangiamenti intessuti da suoni più insoliti e sperimentali.
‘Yankee Hotel Foxtrot’, pur non toccando picchi di originalità eccezionale, è un gioiello nel panorama della moderna musica statunitense, in grado di guardare al passato e, allo stesso tempo, di aprirsi un varco verso il futuro (come confermano i suoi ottimi successori). Forse non vi salverà la vita, ma è bello sapere che, di tanto in tanto, dischi così belli ed emozionanti vengano ancora pubblicati.