Intervista a La Tempesta Dischi: Senza ombrello

  • Tre Allegri Ragazzi Morti, Giorgio Canali, Altro, Il Teatro degli Orrori, Le Luci della Centrale Elettrica, Moltheni, Uochi Toki… nel giro di pochi anni a La Tempesta Dischi hanno raggranellato un catalogo di rock indipendente italico che farebbe invidia alla Mescal, se fosse ancora viva. Per cercare di capire quali siano le dinamiche e le ragioni che muovono una piccola etichetta in tempi di grande crisi discografica, scambiamo due parole con mister Enrico Molteni, bassista dei T.A.R.M. e fondatore della label. Rocklab: Partiamo dall’inizio: come è nata l’esigenza di prodursi da soli con i Tre allegri ragazzi morti e quando ha preso forma l’idea di estendere i vostri “servigi” anche ad altre band?
  • Enrico: Nel 2000 siamo rimasti senza contratto discografico. O quantomeno, la nostra major non aveva veramente intenzione d’investire come ci si aspettava. Ci ha aiutato, ma appena abbiamo capito come fare le cose, abbiamo preferito farle da soli. L’apertura ad altri è venuta nel momento in cui la nostra struttura s’è dimostrata efficace.
  • R: Il vostro catalogo presenta nomi nuovi e vecchi saggi della cosiddetta “alternativa” italiana, apparentemente senza porre discrimini anagrafici, geografici o stilistici. Esiste un criterio con cui selezionate le vostre produzioni, oltre alla qualità?
  • E: A dire il vero non ci sono particolari limiti o scelte a monte. Un unico elemento che si sta delineando è quello del testo in italiano poetico/di denuncia. Forse il vero punto che unisce ogni artista coinvolto è la capacità di creare un immaginario. Quindi non c’è spazio per banalità o intrattenimento fine a se stesso. Bisogna avere qualcosa da dire, e saperlo dire in un certo modo, utilizzando la nostra lingua. Però, ripeto, siamo così liberi da poterci contraddire a breve. Sono l’istinto e la pelle che spesso ci muovono. Niente di più.
  • R: Intervistato sulla sua Ipecac records, Mike Patton l’ha paragonata ad un “ombrello”, che copre chi di solito fa fatica a trovare ospitalità. Vi riconoscete in questa filosofia?
  • E: No. Noi non facciamo beneficenza, i gruppi che escono per La Tempesta sanno proteggersi da soli dalla pioggia. Diciamo che spesso immaginiamo La Tempesta come un collettivo di artisti, ognuno con le sue forze e le sue debolezze. Chiaramente ci si aiuta, e soprattutto si condivide un know-how sulla situazione reale della musica in Italia. Ma non siamo un ombrello.
  • R: Pierpaolo Capovilla ha più volte raccontato di aver voluto fare il “giro delle sette Chiese major” per proporre il suo nuovo progetto (Il Teatro Degli Orrori) e di aver intascato diversi picche, fino a quando non ha trovato accoglienza presso di voi. Cos’è che potete offrire in più rispetto ad una major? Quali sono secondo te i limiti nella sensibilità delle grandi etichette?
  • E: È incredibile come in molti non abbiano colto la forza dirompente del Teatro Degli Orrori. Ricordo quando m’hanno fatto sentire il disco in studio… insomma, sono rimasto a bocca aperta. Ho pianto, mi sono emozionato, ho riso. C’è tutto in quel disco. Credo che La Tempesta abbia passione, orecchio, cuore, esperienza vissuta sulla strada, nei club; bisogna saper caricare un backline in un furgone a fine serata se vuoi contribuire alla diffusione di un progetto. Ecco, le major non hanno orecchio, non hanno cuore, non hanno identità, non hanno esperienza di Autogrill perché vanno a vedere i concerti solo nei locali milanesi, accreditati. Non c’è nulla di male, sia chiaro, hanno altre caratteristiche: hanno le spalle larghe, hanno molti soldi, molte sorelle all’estero. Va benissimo, però purtroppo non tutto ciò che emerge è di qualità. Quindi serve La Tempesta.
  • R: Un altro dei vostri “prodotti”, Le Luci Della Centrale Elettrica, è arrivato alla ribalta con il tam tam della rete prima ancora di essere adottato da La Tempesta. Che rapporto avete con i pro e i contro dello strumento Internet?
  • E: Beh, internet c’è, e non lo si può certo snobbare. Se sei furbo, con un clic raggiungi chiunque. Quindi bisogna ingegnarsi e capire come ottenere il massimo. Rimane il fatto che solo una buona proposta paga, puoi essere un genio con internet ma se le tue canzoni fanno schifo, non arriverai da nessuna parte.
  • R: Il dubbio è quanto conviene aprire una factory di dischi in tempi come questi: rispetto ai vostri colleghi più grandi (e dichiaratamente in ribasso) la vostra proposta può contare su una clientela più fidelizzata e attenta all’acquisto?… Insomma, l’indipendenza (ri)paga?
  • E: Bah, qui si parla di noccioline. Non è paragonabile a nessun’altra situazione nel tempo e nello spazio. Il sistema sta mutando profondamente, quindi bisogna essere pronti a tutto!
  • R: Ma da artista e addetto ai lavori, come vedi il fenomeno della circolazione della musica in rete? È una peste assoluta o solo uno strumento che la discografia ufficiale non ha fatto in tempo a sfruttare e tenere per sè?
  • E: Succede la stessa cosa per i film, per i telefilm, per la tv, per le poste, per… bah, insomma, per tanti versi internet ha cambiato le nostre abitudini. Personalmente non scarico, non mi piace sentire gli mp3, amo l’oggetto, le grafiche, amo l’idea di avere un limite che mi permetta di scoprire le cose un po’ alla volta: i soldi!
  • R: Parlaci dei nuovi acquisti: mentre gli Uochi Toki erano già grossomodo noti in ambito indie, dei nomi di prossima uscita (Colibrì, Melt…) si sa poco o nulla.
  • E: Grandi Uochi Toki, un disco bellissimo. Beh, i Melt suonano dal 1992, se non sbaglio. Sono vicentini, partono dal punk/rock e arrivano al rock negli ultimi anni. Trio, il disco in lavorazione si chiama ‘Il nostro cuore a pezzi’ e ne sono produttore artistico. Ci sono dei bei pezzi e spero veramente che riescano ad ampliare il loro raggio d’azione. Colibrì è il nuovo progetto di Matteo Dainese, in italiano. completamente registrato e scritto in casa, mixato in studio e masterizzato in America, è un disco notevole. Il titolo è ‘Metodo di danza’, poiché c’è una ricerca ritmica frutto di anni di studi.
    Tantissimi ospiti, tra cui io che suono i bassi. Alle porte anche Sick Tamburo, che sono quasi i Prozac+. Quindi Pordenone, quindi esperienza, quindi sintonia, quindi un bel disco!
  • R: E per finire, il domandone da un milione di dollari… vedi qualche via di scampo per la discografia tradizionale o il Nuovo vi (ci) seppellirà tutti?
  • E: Ecco, non vedo via di scampo. Non si potrà più tornare indietro. È come immaginarsi di tornare ad un mondo senza telefonini. Non c’è nessuna possibilità che ciò accada. Per questo dico che conviene essere svegli e capire come muoversi. E comunque sia, nessuno verrà sepolto prima del suo momento. Niente ci toglierà il sorriso e l’amore per la musica.