Wild Nothing – Gemini

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25 Maggio 2010 Captured Tracks Wild Nothing MySpace

Chinatown

A volte penso che, in preda a vaporosi languori, non ci siamo soffermati abbastanza sui danni provocati dalle frequentazioni di casa Creation che tanto carezzavano i nostri visini ruvidi, quando My Bloody Valentine e Slowdive, ci inebriavano di melodia, facendoci perdere l’abitudine alle punteggiature, ad arrangiamenti ficcanti, avvolgendoci in un autentico brodo di giuggiole. Troppo tardi. Oggi è un pullulare di voci di spalle, di riverberi ormai ammuffiti, di melodie con la pretesa di bastare a se stesse, insomma, si smarmella tutto. C’è chi lo chiama dream-pop, chi ha inventato il termine Glo-Fi e chi (solo io in effetti e da ora) la definisce Musica Pelosa. L’elenco è lungo e variopinto, dai parruccosi Deerhunter/Atlas Sound, ai pettinatissimi The Pain Of Being Pure At Heart, dagli impomatati (e sottovalutati) Engineers ai nuovi, arruffati, Best Coast, ma anche i forforosi (e compagni di etichetta dei nostri) Beach Fossils, gli unti Washed Out e i cotonati (favolosi) Beach House. Mi affretto ora però a dire che, in un simile quadro questi Wild Nothing, dalla Virginia, si distinguono proprio perchè recuperano qualche fiocchetto e qualche bottoncino grazioso per i loro peluche sonori. Più vicini alla lezione dei Cure e, azzardo, dei Magnetic Fields, che a quella dei Jesus & Mary Chain, la tracklist di Gemini, il loro esordio, scivola liscia, come da manuale della Musica Pelosa ma non si accontenta di essere innocuo troppo facilmente. Ha delle frecce al suo arco Jack Tatum, deus ex machina del progetto. Oltre ad una scrittura che, al solito, riesce a rendere la piacevolezza un limite, Gemini vanta notevoli bassorilievi, sacrosanti appigli per evanescenze pop, come il contrappunto tra synth e voci in Confirmation e Live in Dreams, la scarna inquietudine alla Mount Eerie di Pessimistic, le lente saracinesche di tastiere sul finale della titletrack, la simulazione autentica dei Bored Games, un delay alla The Edge come base acquosa per The Witching Hour, uno dei brani più vibranti, le belle sospensioni in controtempo di Our Confirmation Book. Chinatown è deliziosa, così “anni 80 e non sentirli”, così come Drifter spicca per lirismo dei contrasti e giochi armonici. Summer Holiday dalle parti di Robert Smith & soci ci finisce un pò troppo spesso e O Lilac indugia senza stoffa nella formula, pericolo corso da un po’ tutti i brani di questo pur buon lavoro. In fin dei conti è proprio l’estetica a cui aderisce a fare i maggiori danni a Gemini, un disco di soluzioni pungenti e idee affilate ma che non riesce a ferire, pur non essendo completamente, o solamente, insinuante come un veleno, le sue stoccate scalfiscono appena la superficie su cui si adagia.