The Ex – Catch My Shoe

Acquista: Data di Uscita: Etichetta: Sito: Voto:
27 Settembre 2010 The Ex Records www.theex.nl

Double Order

Sarà per la loro dichiarata indole anarchica, per una copertina che promette sfaceli oppure per l’averli visti in azione mentre mettevano a ferro e fuoco un palcoscenico: sta di fatto che quando esce un nuovo album degli Ex ce lo si rigira tra le mani come un ordigno pronto ad esplodere da un momento all’altro. Raggiunte le ideali condizioni di sicurezza, e inserito il cd nel lettore e ci si apposta a guardare il fuoco che corre su una miccia lunga. Troppo lunga: quaranta minuti di durata che scadono senza che si avverta nessuna detonazione.

Cosa è andato storto con questo Catch My shoe, dodicesimo articolo in studio nel catalogo degli olandesi? Apparentemente nulla, anzi, ogni elemento sembra al proprio posto. Non è colpa del nuovo arrivato Arnold De Boer, che sostituisce al microfono il dimissionario GW Sok dopo trent’anni di onorata carriera. Non è la qualità dei brani in sé a fare difetto e nemmeno la presenza ormai inevitabile dello special guest addetto ai fiati: alle orecchie del belpaese la tromba di Roy Paci potrà pure suonare meno “esotica” di un Geatatchew Mekuria, ma il nostro connazionale se la cava egregiamente anche su scenari postpunk.

Non è, no, non può essere il lavoro di produzione di Steve Albini, che del rock tirapugni è guru assoluto e degli Ex fan devoto…non potrà essere, ma forse una parte di responsabilità è anche sua se il sound del disco non convince fino in fondo. Perché qui la sola cosa a mancare, a conti fatti, è la “fusion”, o quella particolare versione che il trio ha saputo costruirne in questi anni di tour a getto continuo. Nei concerti il tiro brutale dei nostri si fondeva alla perfezione con lo strumento di questo o di quell’asso del jazz africano, fino a tracciare i contorni di una musica totale di davissiana memoria centrifugata al punk. Ecco, tutto questo nei solchi di Catch My shoe non trova replica. Giusto un paio di volte è dato vedere quella gioiosa macchina da guerra marciare compatta (in Double Order, soprattutto).

Rimane il ricordo di un Albini che, alle prese con materiale non troppo diverso (quello dei nostrani Zu su Animal Power) aveva dato ben altra prova di sé. Rimane qualche cantilena che ti si fissa in testa e la sensazione di un ascolto troppo “freddo” e distante. E soprattutto rimane l’impressione che laggiù, negli studios di Chicago, si siano divertiti da pazzi e la speranza che si ricordino di invitare anche noi alla festa, la prossima volta.