Jonathan Richman @ Spazio 211 [Torino, 27/10/2010]

Attitudine e visuals: dietro un ampio set di tamburi e percussioni  fatto apposta persuonare  il jazz latino, Tommy Larkins ha tutta l’aria (e il completo) del musicista professionista che si è girato almeno un migliaio di matrimoni. Jonathan Richman, dalla sua, indossa la classica camicia a fiori da buontempone hawaiiano: la sofggia orgogliosamente quando volteggia la chitarra per accennare qualche passo di danza. Malgrado un freddo già invernale, stasera, qui, tira aria da villaggio vacanze.

Audio: difficile dire se “si sente bene”. Si tratta di un flamenco lungo un’ora e mezza dove ogni tanto si ha come l’impressione che ognuno dei due musicisti se ne vada un po’ per conto proprio. Colpa (o merito) dell’improvvisazione. Ma l’alta fedeltà e il perfezionismo tecnico non sono certo i criteri giusti per valutare un live come questo.

Nasuals:  una sezione inventata apposta per il concerto in questione. Perchè non capita spesso di assistere a degli eventi musicali in “odorama” e l’esibizione di Jonathan Richman, in un certo senso, rientra nella categoria. Da soffiata degli organizzatori apprendiamo che all’ora di cena l’artista ha chiesto soltanto qualche spicchio d’aglio, per star dietro a chissà quale dieta terapeutica. Il tempo di entrare l’odore si è già espanso dai camerini a tutto il locale: a dar retta alle narici, Spazio 211 pare l’incontro fra un rifugio antivampiri e un ritrovo di fedelissimi della bagna caoda.

Setlist: quasi tutto viene fuori dall’ultimo ¿A qué venimos sino a caer? (2008), l’album “europeo”, e quindi quasi tutto viene cantato in francese, in spagnolo e, nientemeno, in Italiano. Ma è il concetto stesso di scaletta che non fa al caso nostro: il live di Jonathan Richman oggi è unideale evoluzione dei vecchi cabaret musicali, senza pause fra i singoli brani, le  improvvisazioni e i discorsi  (anche questi quasi tutti in italiano) con il pubblico. Pubblico che infatti qua è là si perde: “Ice cream maaaaan!” “Ma se l’ha già fatta prima Ice Cream Man!” “Ma no…

Pubblico: Sinapsi tutta la vita. Più in generale i true beleviers qui presenti sono sufficientemente adulti ed esperti da sapere che garage e  rock’n’roll nascondono da sempre un’anima dada: mancare di fronte a certi personaggi solo perchè non ci sono chitarre elettriche nei dintorni sarebbe imperdonabile. Tra gli avventori anche Matteo Castellano, geniale cantautore locale che all’ex Modern Lover deve molto del suo stile infantilista – anzi, già che ci siete, appuntatevi il suo nome

Locura: parte fin dall’inizio, con lo straniante attacco italofono di In che mondo viviamo? e dura per tutta la serata. L’effetto, a tratti, è un po’ quello che si scatena agli spettacoli di certi vecchi comici: il pubblico arriva già con la ridarella in tasca e finisce per ridere a qualsiasi cosa venga detta. Anche alle digressioni serie, come quella sulla mentalità torinese: pensieri sinceri scambiato per un numero di stralunato umorismo. Quando si pensa che in fondo è soltanto la pronuncia del nostro a scatenare l’ilarità generale vien su un po’ di malinconia

Conclusioni: anche dietro alle incarnazioni più distruttive del rock’n’roll, si diceva, c’è un’anima gioconda, naif. Voglia di distruggere e di strillare da una parte e  purezza infantile dall’altra costituiscono due facce opposte della stessa medaglia: così si spiega l’affezione del pubblico di garage, punkrock e dintorni nei confronti di personaggi storici come Daniel Johnston, Calvin Jonson e lo stesso Richman. Certo che, abituati come siamo, sarebbe stato più facile digrignare i denti durante un concerto di heavy metal anzichè stare qui ad assistere spiazzati al gioioso delirio di un uomo con la sua chitarra. Ma Richman è il bambino che c’è dentro ognuno di noi, e come ogni bambino a volte sa essere tanto sincero da metterti in imbarazzo.