My Chemical Romance – Danger Days: The True Lives of the Fabulous Killjoys

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23/11/2010 Warner www.mychemicalromance.com

Sing

Cosa succede quando un gruppo spreme il limone dell’estetica emo fino a che dell’emo non rimane più nulla da spremere? Succede che passa ad altro perché è tempo di abbandonare la nave. I My Chemical Romance hanno deposto le loro divise nere, dicono che si sono rotti le balle di tutte quelle menate stile Black Parade, e che avevano voglia di leggerezza. “Avevo una canzone in tasca… faceva na na na na”. Ce l’avevi, peccato fosse brutta.

Fuori da queste alate metafore per adolescenti, calandoci negli oscuri meandri del music biz, io già me lo vedo il creativo di turno, l’esperto di comunicazione della casa discografica, che decide che l’emo è morto o ormai agonizzante, e che bisogna cambiare pagina. Qual’è la frequenza Kenneth? Quali sono le tendenze giovanili? Boh, quest’anno tirano molto i temi apocalittici. E allora spariamoci un bel concept sull’apocalise. Sentite che bel quadretto: California, anno 2019, post-apocalisse. Il deejay di una radio pirata ribelle (la cui irritante voce sentiamo in apertura di disco) trasmette i brani dei coloratissimi Fabulous Killjoys (i My Chemical Romance) in un mondo dove arte e colori sono illegali. Solo la musica ci salverà!

Ma davvero? Ho i brividi dall’emozione.

Di futuro qui non ce n’è nemmeno l’ombra però. E invece c’è l’ombra del passato, le ingombranti ombre di tutto ciò che il rock radiofonico americano ha prodotto negli ultimi trent’anni e forse più. Un disco nato vecchio e  spompato, e che puzza di vecchio e di logoro lontano un miglio. Una festa di cliché.

Persino le foto del booklet, nelle quali I Fabulous Killjoys (erm… i My Chemical Romance) indossano colorati panni polverosi stile Mad Max, hanno qualcosa di già visto. Ah sì, ecco: i Power Rangers.

The Black Parade era un disco di Frank Zappa, al confronto.

Tuttavia se fossi American Psycho direi che questo disco mi piace. E molto. Perché ci sentirei dentro il suono del denaro, della pacificazione, della voglia di conquistare un’altra fetta di pubblico, quella più generalista, ci troverei una poesia in tutto questo, direi che è un disco organico al nostro mondo consumistico, e pertanto sincero, e che la sua rivoluzione è di cercare di far piacere il rock anche alle nonne. Ma siccome sono un saccente, un arrogante, un ignorante, o un musone, fate voi, dico che questo disco è quello che produce una band spremuta fino all’osso e senza più un briciolo di fame e di voglia di fare qualcosa di sensato.

Più che i danger days, qui sembrano essere arrivati i giorni del pensionamento. Anticipato.