Dodos – No Colour

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22 Marzo 2011 French Kiss Records Dodosmusic.net

Don’t Stop

La seduzione dei Dodos ci arriva addosso con Black Night, che avanza a passo di marcia. È come buttarsi in un viaggio sulla Route66, abbandonarsi sulla strada a tutto quello che può accadere. Rifiutare la strumentazione digitale, correre nel buio all’aperto. Come On The Road di Kerouac, attraversiamo il disco spogliandoci delle impalcature borghesi che ci hanno castrato, e assumiamo una nuova forma. Un movimento continuo e ossessivo che ci porta a ballare a suon di acustica elettrificata e batteria folk. La notte ci ha preso e non c’è tempo di aspettare, nemmeno un secondo che ci divide dalla seconda traccia. Going Under ci fa scivolare in un prato sotto le stelle, melodie che rallentano alla velocità dei nostri respiri. Ogni impennata del suono è il nostro cuore che batte più forte dall’emozione. Si tratti di psychofolk, o 2step poco importa, perché è pura poesia, scintille violente e magia. Sono gli strumenti bucolici che vengono presi in mano da una gioventù infiammata e mediata dal romanticismo, dal realismo di Flaubert e dalla violenza inaudita di Wagner.

Il suono si rivolta su se stesso e si pompa per poi ricacciarsi sottocoperta, sotto il beat costante del flamenco incessante dell’anima di questi uccelli randagi.

La chitarra inforca in giri spezzati e reincollati analogicamente come una suite minimalista. Dicono che sono gli Animal Collettive country-ficati, ma il loro lavoro sul suono mi ricorda terribilmente i No Age, con la loro strafottenza per il modo convenzionale di portare canzoni Pop a strutture indorate come pillole di Prozac, giocatori con i volumi e deturpatori di immagini simmetriche.

E Good ne è la prova, la melodia che nuota in una piscina piena di chiodi ritmici.

Non siamo degni di ascoltare tutto questo se non abbiamo assaporato nemmeno una volta la vita selvaggia di chi ritorna alle origini e sputa fuori la pillola della routine.

Facciamo la nostra scampagnata con Sleep, affrontiamo l’epopea dell’ignoto, dormiamo alle soglie dell’incerto, sentiamo le frizioni incendiarie delle dita sulle corde di chitarra attorno a un fuoco, e che il ritmo unisca i nostri battiti in un unica comunione, risaliamo la volta celeste cercando in quel pentagramma dentro il nostro istinto primordiale la nota da fissare con coraggio.

Con Visiter e Time To Die i Dodos ci hanno dato prova di essere dei musicisti eccellenti e genuini. Ho assistito dal vivo alla loro performance, e ho potuto osservare quel miracolo di sensazioni occulte e calde che scaturiscono dai loro strumenti. Mi rammaricavo che la cosa non fosse stata catturata nei loro dischi, ma poi hanno registrato la testimonianza del loro potere tribale su No Color, così che potesse essere a disposizione di ogni mente vagante sul suolo terraqueo.

Le note catturate quando meno se lo aspettano come bisonti allo stato brado, non perdono mai di sinuosità, non sono mai ruvide nonostante gli errori tecnici che le fanno concrete.

Un suono e un aggressività unica e irriproducibile, i Dodos hanno inventato la loro dimensione fatta di elementi semplici che insieme rendono la complessità dei presentimenti.  È commozione negli ultimi due minuti di Hunting Season.

Poi Companions e Don’t Stop ci fanno conoscere la dolcezza di essere degli animali liberi. Questo è il posto dove la tecnica serve solo ad elevare le emozioni, e niente è fine a se stesso.

Piazzatevi quest’album nelle orecchie e correte via senza meta.