Giant Sand @ Spazio 211, Torino 06/05/2011

Attitudine e visuals: Ogni volta che Howe Gelb fa ritorno dalle nostre parti, scatta il totoscommesse su quale compagnia si porterà appresso. Tutto può essere, dato che in questi giorni l’uomo è in tour contemporaneamente da solo, in coppia con Michael Ward o Brent Green, seguito da A Band of Gypsies o dai Giant Sand. Questi sono la formazione toccata in sorte alle date italiane, nella line-up danese che regge fin da quando  Convertino e Burn non sono più della partita. Il colpo d’occhio quindi è quello di un country gentleman brizzolato, fascinoso nonostante il passare degli anni, a capo di una carovana di biondissimi finnici conciati come bovari texani: il tutto ben nascosto dietro una fitta selva di aste per microfono.

Audio: Basta la chitarra acustica di Gelb, imbracciata per accompagnare una ballata country & western, che all’improvviso ti sferra un paio di scariche elettriche a tradimento. Quello è il suono del Gigante di Sabbia. Quello e nessun altro.

Setlist: Un lavoro in uscita, Blueberry Mountain, e una serie di ristampe in promozione per festeggiare i 25 anni di carriera permettono di allargare notevolmente la tavolozza sonora. Non più soltanto cavalcate per le sei corde (Valley of Rain), ma anche serenate jazz intonate da dietro alla tastiera e qualche piccola sorpresa. Come il cenno a Riders on the storm dei Doors (?!?) e come gran finale il ripescaggio di Thin Line Man: un affondo al cuore degli aficionados e, finalmente, lo scoppio della tempesta elettrica.

Momento migliore: La dedica a un fan che non c’è più – anche se pochi nel pubblico possono sapere.

Pubblico: Sorprendentemente numeroso. Alcuni sono abitudinari, del locale o del gruppo. Tutti gli altri si rifugiano quaggiù per sfuggire al raduno degli alpini che per qualche giorno ha invaso la città intera. Costernazione da parte del band leader nel non vedere penne nere spuntare dalla platea.

Locura: Probabile ultima di una lunga serie di dame che gli ha fatto da contraltare nel corso di questo quarto di secolo, per i bis debutta in scena una bella rossa. Howe prima la rivendica come “my daughter” e poi si rimangia tutto. Insieme duettano su Stranded Pearl, poi lei si butta su un paio di “soli”. Voce non pervenuta. Se pensate che il talento femminile abbia vita dura quaggiù, dovreste farvi un giretto a Tucson.

Conclusione: Tanto per cambiare ha ragione Bertoncelli quando scrive che “la musica dei Giant Sand fatica a definirsi come ‘rock’. Il rock è omeopatico, prende il ritmo vitale della nostra epoca e lo sottolinea, lo esalta, lo asseconda per la sua violenta terapia. I suoni in erosione di Howe Gelb sono allopatici, lavorano per contrasto. La pulsazione è rallentata”. La loro è una musica che cammina in obliquo, che quasi sempre evade le cadenze sicure del passo di marcia. Molta potenza, molte poche certezze: è anche per questo che il deserto di Howe Gelb non è lo stesso dei Calexico.

Foto di Federico Tisa