Wye Oak – Civilian

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Marzo 2011 Merge Records Wyeoakmusic.com

Plains

Se come diceva Caparezza “il secondo album è sempre il più difficile nella carriera di un’artista”, superato lo scoglio il terzo dovrebbe essere quello dell’affermazione definitiva. Così è per il duo Wye Oak, che dopo due album “e mezzo”  (hanno rilasciato un EP lo scorso anno) mostrano la loro maturità artistica con questo Civilian, registrato per giunta in un solo mese di lavoro in studio: un prodigio reso possibile dall’animo nostalgico, le spiccate doti cantautorali e la quasi  ventennale esperienza musicale della frontwoman Jenn Wasner e da quella inutile meraviglia tecnologica dell’iPhone, che a quanto pare lei usa più o meno come Chatwin usava il suo Moleskine.

L’atmosfera prevalente in questo lavoro è una malinconia quasi autunnale,  con liriche a metà tra il cut up e il cantautorato classico, sempre fra un certo spiritualismo e nostalgia dei tempi di quando eravamo giovini e spensierati, il tutto intinto in sonorità tra il sonico anni 90 e il cosiddetto alt-folk sempre di quel periodo. Unica parentesi  a questo mood  è il brano “Dog Eyes”, che sembra l’incontro tra  Liz Phair di Exile in Guyville, idolo della giovinezza di Jenn, e PJ Harvey di Rid of me.
Nell’insieme la ridotta formazione praticamente obbliga la band al minimalismo nella composizione musicale dei pezzi, che si sviluppano su trame molto semplici, ma con forme comunque diversificate, passando dalla canzone classica (Two small deaths) e con qualche variante (Holy Holy), al lento climax ascendente di “We were wealth” e alla traccia eponima che sfocia in un assolo di chitarra noise, fino all’alternanza calma/quiete in “Plains”, concludendo con la chitarra e voce di “Doubt”. Grazie a quel polpo umano di nome Andy  Stack, che riesce a suonare contemporaneamente batteria, tastiere e a fare i controcanti (guardare su Youtube per credere) i pezzi si arricchiscono un attimo, aggiungendo maggiore lirismo come in “Hot As a Day” o facendo da riempitivo come in “Fish e The Altar”.

Nel complesso dunque un lavoro interessante, che riesce a mettere in nuova luce, e nel “nuovo” contesto del songwriting, sonorità e attitudini che ormai appartengono ad un passato non più tanto vicino, quello dei sonici anni 90.

E a pensarci divento nostalgico anch’io, come la bionda Jenn.