Interpol @ Atlantico Live, Roma 30/5/2011

Attitudine e visuals: all’insegna dell’eleganza e del buongusto, l’ormai trio di New York si affaccia, per la prima volta da headliners, su un palco romano portando con sé tutta la viva decadenza che da sempre gli fa onore. Loro, Paul Banks e Daniel Kessler in testa, hanno optato per una moderata simpatia: qualche “Grazie, thanks” (anche un “mi raccomando” da saggio marinaio), ma soprattutto posture naturali, nessun cliché da animale da palcoscenico. Per l’appunto, la loro eleganza (abilmente privata di sbruffonaggine) non si addiceva all’ambientazione banalizzante: non basta un po’ di fumo per fare atmosfera. Per quanto riguarda l’aspetto scenografico, mi sarei aspettata qualcosa di più raffinato piuttosto che una fiera del faro selvaggio su un palco alla fine minimale; ma, tant’è, la loro figura l’hanno fatta: finché Banks dominerà i suoi dichiarati istinti hippoppettari, andrà (quasi) tutto bene.

Audio: l’Atlantico Live consente di scegliere fra soddisfare il proprio desiderio fusionale scatenandosi in platea (perdendoci in qualità del suono) e sentirsi un po’ più distaccati (ma comunque coinvolti e in grado di capire meglio cosa esce dagli amplificatori) arrampicandosi sugli spalti laterali, possibilmente vicino alla balaustra.
Sull’esecuzione, nulla da dire: a parte qualche sbavatura (soprattutto negli attacchi di Banks), sembrava di ascoltare un disco. Precisi e puliti come a un saggio della scuola (il che è apprezzabile e comunque parte del loro stile, ma a tratti potrebbe sembrare che stiano svolgendo un compito piuttosto che esibirsi). Un po’ giù le tastiere, ma non se ne è sentita la mancanza.

Setlist: chi come me ha la sindrome del ‘eh, ma i primi dischi erano meglio…’, non poteva aspettarsi di più: a sorpresa, in un’epoca in cui i tour promozionali si riducono a una riproduzione forzata del disco in questione, questi newyorkesi europeistici se ne escono con una scaletta che prevede solo cinque pezzi (Success, Barricade, Lights, Summer Well, Memory Serves) del loro ultimo lavoro, accolti in effetti un po’ freddamente dalla folla rispetto a quelli estratti da ‘Turn on the Bright Lights’ (Say Hello to the Angels, Hands Away, The New, Obstacle 1) e soprattutto da ‘Antics’ (NARC, C’mere, Slow Hands, Evil, Not even Jail). Di ‘Our Love to Admire’, solo il meglio: Heinrich Maneuver e Rest my Chemistry (si saranno fatti delle domande e dati delle risposte). Sempre all’insegna dell’inaspettato, si è sentita anche Specialist, bonus track del primo album che Banks si è sentito in dovere di identificare con una bella postfazione chiarificante… le brave persone si riconoscono dai piccoli gesti.

Momento migliore: l’esecuzione (velocizzata) di Slow Hands: secondo me, gli stessi Interpol si saranno inquietati all’esplosione del boato che ha accolto le inconfondibili due note d’attacco.

Pubblico: equilibrato, vario. Ho sentito rivolgergli accuse di mosceria, ma, alla fine, sotto al palco c’era parecchio movimento.

Locura: per quanto fosse tutto abbastanza formale, nonché normale (ma non banale), le leggiadre movenze saltellanti di Kessler non sono passate inosservate. Per non parlare della sempre inaspettata (e rincuorante) attrazione tra indie tiratissimi e paninazzi con la porchetta dei venditori ambulanti. A proposito di ambulanti: le magliette non ufficiali con la testa di bufalo stampata sopra, in bella vista, rimarranno nei cuori (magari anche negli incubi) di molti.
Al limite tra locura e illegalità, il solito racket dei tappi delle bottigliette d’acqua. Oltre al danno di dover tenere in mano durante tutto il concerto una bottiglietta traboccante causa sequestro del tappo, pure la beffa di sentirsi chiedere due euro per mezzo litro d’acqua (ovviamente con tappo, quindi la questione sicurezza non regge) ai bar interni all’Atlantico. Vergognoso.

Conclusione: un buon concerto, ma di una normalità che lascia un po’ così…in un limbo acritico. Nulla di cui lamentarsi, ma neanche qualcosa per cui entusiasmarsi. Insomma, non è stato il concerto della vita, quello per cui il giorno dopo ti disperi che sia già passato, ma almeno c’è stato. E starò anche declinando verso l’anzianità, ma io non riesco a considerare gli Interpol un gruppo da palazzetto dello sport. Va be’, neanche un gruppo da major, se è per questo, ma tant’è…oramai… Alla fin fine, se le masse vengono attratte da fenomeni del genere è solo un buon segno; l’importante è che ci sia consapevolezza.

Le foto sono di Marco Dicuio