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4 Ottobre 2011 | Bella Union | ibreakhorses.se |
Winter Beats
Disco d’esordio per questo duo svedese, nato dalle infinite vie… dell’ipocondria. I due componenti (Maria Lindén e Fredrik Balck) si sono incontrati non come si usava ai vecchi tempi della pre-web storia, ma tramite un forum di consigli medici, pensando di essere entrambi affetti da una rara forma di cancro, cosa fortunatamente – e prevedibilmente, visto il loro “problemino” – rivelatasi falsa. Se l’aneddoto ansiogeno vi fa pensare che la musica di questo duo lo sia altrettanto, bè, siete fuori strada, completamente. Infatti lo stile degli I Break Horses è decisamente etereo e rilassato, chiaramente ispirato alla cosidetta scena shoegaze britannica dei primi anni 90, nonchè alle contigue e variegate aree post-rock, il tutto sorretto dalla voce angelica, ma non troppo, di Maria Lindén. E’ insomma uno di quei casi in cui l’artista riesce a trovare una valvola di sfogo per le proprie paure e frustrazioni, dando loro una forma completamente diversa: casi che la maggior parte delle volte, danno luogo a ottimi risultati.
Questo però potrebbe non essere per forza uno di quelli: i due svedesi hanno imparato bene la lezione, messo al loro posto i suoni giusti e gli effetti giusti, come voci e strutture “sigurrosiche” in Hearts e No way outro, e le distorsioni in Wired, che presenta nel finale quella che si potrebbe definire in maniera velatamente polemica una citazione dei My Bloody Valentine.
Il tocco di novità lo si trova nell’impianto ritmico dei pezzi, che spaziano da alcune escursioni nella new wave in Pulse, al breakbeat di Load your eyes, fino a ritmi più ossessivi della già citata Wired, passando per pezzi invece quasi aritmici come Cancer, tutta giocata su un crescendo corale di strumenti.
Nonostante alcune ruffianerie ad uso e consumo degli amanti del genere l’album funziona, e ha quel tocco personale tanto quanto basta per resistere al susseguirsi degli ascolti, anche se c’è da dire che le atmosfere e i suoni proposti suonano un po’ stantii nell’anno di grazia 2011, in cui band e rispettivi cloni saltano fuori come funghi e sono accessibili come il pane e scene musicali nascono e muoiono (o per meglio dire, passan di moda) nel giro di un paio d’anni. Un buon esordio, certamente però non il migliore dell’anno come i professionisti dell’hype si sono già affrettati ad etichettare: c’è trippa per un succulento disco di seguito, vedremo a tempo debito se sarà così o se ci troveremo di fronte all’ennesima bolla di sapone…