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31 Ottobre 2011 | The Sycamore Club / Modern Life | RKC Music |
Kittens Become Cats
Non sono un grande fan dei Babyshambles, lo devo ammettere. Li ho sempre trovati una sorta di mera degradazione di quello che erano i Libertines, un modo per allungare il brodo musicale di una band che con la rottura aveva perso un suo membro importante soprattutto a livello di songwriting. Da qui il mio scetticismo di partenza quando ho messo mano a questi Roses Kings Castles, abbreviato RKC. Stiamo parlando del nuovo progetto di Adam Ficek, batterista transfugo dei Babyshambles appunto, fuoriuscito dalla band appena l’anno scorso senza una vera e propria rottura con Doherty & soci.
Invece mi sono dovuto ricredere: questi RKC non sono una banale costola di un’altra band, sono decisamente qualcosa di diverso, con vita propria ed una personalità. Forti di una innata coolness britannica, RKC presentano un lavoro che all’ascolto lancia tantissimi spunti, ben sviluppati e decisamente più maturi rispetto alle soluzioni più mainstream e di facile acchiappo di altre band della stessa scena. Attitudine, look e sound li rendono indie nella maniera più genuina del termine (aggiungendo il fatto che pubblicano i lavori per l’etichetta The Sycamore Club, appartenente a Ficek stesso) e numerosi sono i rimandi a band molto più seminali di quelle che sono apparse in questi anni zero: da bravo batterista e deus ex machina di questo progetto, Ficek è fantasioso sia nelle parti percussive dei brani che nelle parti melodiche. Si sentono sonorità care a Primal Scream (These are the Days) e alla Beta Band, ma a livelo melodico mi ricordano una versione elettrica e fuzzata (I can’t say) degli I Am Kloot. E’ un lavoro in cui le chitarre si fanno sentire, ma in secondo piano rispetto al perenne synth distorto che è presente in ogni brano, che però calza a pennello con un cantato disimpegnato dalle melodie sofisticate. Dovessi muovere una critica la farei soprattutto alla scelta dell’effettistica usata sulla voce: alla fine questo crunch perenne appiattisce un pò la performance, anche se dona una atmosfera disimpegnata e godibile.
Seeds of Moscow è il brano più schiavo degli arrangiamenti revival alla Babyshambles, ma l’album ha il pregio di scorrere senza essere scontato soprattutto nelle scelte dei suoni. If the rain comes effettua incursioni verso l’indietronica, mentre Cockroach è un simpatico episodio punkeggiante di nonsense musicale. Per ultimo non dimentichiamo Here comes the summer, che non a caso è il primo singolo, ed è in effetti il brano più stilisticamente completo della raccolta, perfetto apripista da djset.
In conclusione questo album regge il confronto con altre uscite della scena indie inglese di questo periodo: decisamente più interessante, una buona alternativa a quelle band che sono diventate la cover band di loro stessi.