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15 Novembre 2011 | Island | snowpatrol.com | ![]() |
Ascoltando l’ultima fatica degli Snow Patrol, vien chiedersi che ne è stato di quella band che a inizio carriera fingeva di essere una costola dei Belle and Sebastian presentandosi on stage nei sobborghi di Dundee, tredici anni e 7 milioni di dischi venduti dopo. Magari dal vivo le origini irlandesi tradiranno una verve passionale, ma lo snodo centrale rimane il fatto che ai Nostri manca, almeno da un quinquennio a questa parte, la zampata vincente, quel colpo ben assestato che mette d’accordo chi i Belle and Sebastian sa chi sono e non solo i fan di Grey’s Anatomy o coloro che consumano sull’i-pod Chasing Cars pensando forse sia una b-side dei Coldplay.
Certo, le annotazioni a margine del loro manager sottolineerebbero la mole non indifferente di vendite e i download milionari, nonché un monumentale tour nientemeno che con gli U2, ma la mia sensazione rimane quella di un mood musicale così drammaticamente ortodosso da non legittimare certe velleità da stadio che li vedono accostati alla band di Bono o peggio ancora a quella di Thom Yorke. Fallen Empires (non) prende forma pressappoco attraverso le solite coordinate (Travis, Keane, gli stessi U2): tenta di avere l’intensità emotiva dei REM, tenta di perseguire lo slancio sperimentatore degli Editors. Tenta, appunto.
La perizia tecnica di una decade d’esperienza si sente per carità, ma si traduce in sterili ricami acustici alternati a pseudo folktronici idiomi: gli imperi decadenti crollano al suono di ballate educate, edulcorate, senza veri sussulti memorabili. Che Gary Lightbody sia più simpatico di Chris Martin e che dopo Mylo Xyloto qui ci possa quasi scappare una sufficienza, ci può anche stare: ma la Scozia che esploravano un tempo gli Snow Patrol era ben diversa.