Pinch & Shackleton – Pinch & Shackleton

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Due grandi artisti che non si sentivano da un po’.  Pinch aveva rilasciato il suo debut album nel 2007 (Underwater Dance Hall) per poi dedicarsi a singoli e collaborazioni. Il secondo ha alle sue spalle il discreto “Fabric 55” nel 2010. Oggi si ritrovano insieme in un LP da considerarsi sintesi perfetta delle due attitudini, dei due, rispettivi, sistemi nervosi.

Prendete  il suono deep, dalle sfumature tech di Pinch e fondetelo con il minimalismo tribale di Shackleton. Il risultato è un’opera da ascoltare linearmente, come un disco kraut, come un racconto surrealista. Ora però non confondetemi, non parlo di musica “cosmica” o di riferimenti all’arte astratta e concettuale; il disco è molto materiale e “concreto”, viaggia su correnti energetiche dense e precise, senza lasciare alcuna sfumatura retorica.

È la sua “completezza” ha renderlo inaccessibile ad un’analisi track by track, ci sarebbe il rischio di guastarlo, di rovinarlo nella sua identità. In qualche sito lo stile che emerge dall’operato di questi due geni viene definito vodun step (vudù step) e non ci sta male, rende bene sia il grado psichedelico dell’atmosfera, molto cupa e notturna, e l’ipnoticità dei pattern usati.

Lasciamo stare, però, la disquisizione sulle etichette, di per sé discorso assai borioso, e parliamo degli Autechre più esoterici,  dei rimandi a certe colonne sonore horror anni ‘70, ai Demdike Stare di “Haxan Dub” e al Burial più complesso e plumbeo: questo per cercare di tratteggiare un LP che vi trascinerà in un matmos vivente, pulsante di energia negativa cerebrale.