Aucan @ Spazio 211 (Torino) – 09/03/2012

Attitudine e Visual:  apertura del concerto affidata ai Canisciorri. Cani sciolti e rabbiosi, vien da pensare di fronte all’irruenza metalcore della band piemontese. Creature cresciute probabilmente a pane e metal (i riff killer di Pantera e Motorhead), convertita al verbo della Torino hardcore (Negazione?) e abbonata al Mastodon sound, come tradisce la t-shirt del batterista. Botte anthemiche senza fronzoli, basso che azzanna le caviglie. Peccato per la voce coperta dalla strumentazione che poco o nulla fa intendere in quanto a lyrics. Roba che col pogo neanche te ne accorgi, per carità. Consiglio vivamente di approfondire la faccenda.
E poi il Buio. Il rumore assordante di una sonda alla ricerca di forme di vita sconosciute nell’iperSpazio211. Nel frastuono elettro-dissonante ecco tre figure incappucciate prender posizione on stage con la batteria al centro (retrostante) e  le keyboards speculari (avanzate). D’improvviso un bagliore, luce pulsante, intermittente, ossessiva. Il battito della Terra pronta all’eruzione di suoni. Aucan.

Audio: Mi stupisco di aver visto già tre volte questa band (le altre erano con One Dimensional Man e ZU) e possedere ancora l’udito. Gli Aucan sono suono, prima di tutto. Il che non è poi così scontato di questi tempi. Gli Aucan sono un muro di suono, un tornado di decibel che ti spettina dall’inizio alla fine, altro che assoli. Sono lì davanti all’amplificatore in attesa di raccogliere brandelli di cervello liquido fuoriuscito dalle mie orecchie. Manca la forza di gravità nelle coordinate spazio-temporali del Black Rainbow, si è schiacciati sotto il peso dei synth e si reagisce oscillando in un headbanging in slow motion.

Set List: un’ora di possessione Aucan basta a ripassare per intero Black Rainbow e risvegliarsi confuso, con le orecchie che fischiano.

Pubblico: Numeroso. Il genere tira del resto, anche se sono pronto a scommettere che non tutti i presenti, attirati dall’hype intorno al combo triestino, si aspettassero la foga perversa dell’elettronica spinta, martellante e sparata a volumi apocalittici che si sono visti lapidare addosso mentre sorseggiavano il loro cocktail.

Locura / Momento Migliore: Giovanni Ferliga porta la chitarra sopra la sua testa, la innalza fino a sfiorare il soffitto, poi rivolge il manico verso il basso e lo sbatte violentemente sullo stage, creando un tetro rombo ad ogni colpo. Poi fa scorrere la chitarra lungo le prime file del pubblico, spronando l’audience a toccare le corde: dopo l’interdizione iniziale tutti pizzicano le corde. È l’epicentro filo conduttore di un terremoto sonoro tra palco e parterre. Non una cosa da ridere insomma, ma di sicuro quella che desta più curiosità.

Conclusioni: Gli Aucan possono davvero dire la loro sui grandi palchi internazionali e la miriade di date fuori dai confini nazionali lo conferma. Sono un mantra che parte dalle orecchie, annichilisce buona parte del nostro essere fino all’implosione dello stomaco. Comunicazione di servizio: in Italia, forse, nessuno suona forte come loro.