Divine Fits – A Thing Called Divine Fits

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Come per ogni ensemble nato dall’unione dei punti di forza appartenenti ad altre realtà, il rischio implosione è altissimo. Come il rischio di trovarsi al cospetto di due o tre binari di pensiero paralleli e che per definizione non s’incontreranno mai. Di solito però, per ottenere un buon risultato ci si affida al buon senso, o meglio, al saper dosare le componenti di quello che poi sarà inevitabilmente definito dalla stampa come un ”Supergruppo”, e ve lo dico subito, qui il criterio di scelta è stato a dir poco chirurgico. Un trio, due menti che rispondono al nome di Britt Daniel (Co-fondatore degli Spoon) e Dan Boeckner (Wolf Parade) e uno che picchia durissimo sulle pelli (Alex Fischel, New Bomb Turks), e tantissima unione d’intenti.

Tutto prende forma e si sviluppa passando spesso attraverso soluzioni Elettro-Wave, quelle che già nell’episodio d’esordio “My love is real” raccontano l’amore dal punto di vista del sintetizzatore, e dei Depeche Mode più recenti. Un humus solidamente Eighties ma capace di rendersi dannatamente attuale, come accade in “Baby Get Worse” dove a far capolino tra i sintetizzatori sono certe dinamiche griffate Arcade Fire.  Un sound capace di mostrare persino i muscoli all’occorrenza – Del resto che senso avrebbe altrimenti Alex Fischel? Ndr-, cavalcando veloce il deserto come lo farebbe un recente Josh Homme, con nelle orecchie una versione velocizzata dei WilcoWhat gets you alone”.

Poi c’è “Salton Sea” che arriva al numero cinque ed è il vero capolavoro del disco, da ricordare come l’evento nel quale la ritmicità schizziode dei Devo accolse di buon grado e con qualche inchino tutta la fredda lungimiranza Kraftwerkiana. Un treno che sobbalza ritmicamente ed al tempo stesso continua il suo percorso senza ritardi, orgoglioso, un treno che ben presto sarà destinato alle foschie gelide di “For Your Heart” dove scorgerà velocemente quello che sarebbe stato Pornography (Cure Ndr) se al microfono ci fosse stato un Nick Cave capace di concedersi qualche raggio di luce. Per non mancare in classicità, ecco “Shivers”, un pezzo che parte alla maniera di Blake Shwarzenbach (Jets to Brazil) e contiene tutta l’esperienza mutuata dagli Stones. “Civilian Stripes” è soltanto un pezzo folk, mentre la chiusura è affidata alle atmosfere abissali di “Neoplolitans”.

Un disco che sorprende per la varietà di sfumature inserite in un canovaccio ben definito, capace di dosare con sapienza ogni ispirazione, donandole in molti passaggi quella freschezza tanto agognata dalle band contemporanee.