Metz – Metz

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Dicono che dal vivo siano un’esperienza da escoriazione dell’apparato auricolare. Sarà per questo che Graham Walsh e Alexandre Bonenfant  nel tentativo di catturare “la bestia” li abbiano rinchiusi in un fienile e fatti sfogare come lo si fa con gli animali più pericolosi.
Metz, romanticamente parlando, assomiglia tanto ad un racconto firmato Dyer Wayne, uno di quelli nei quali spiega come sia possibile raggiungere un obbiettivo semplicemente contemplandolo. Mi sembra di vederlo Alex Edkins (Chitarra/Voce) stuprare con lo sguardo il catalogo per corrispondenza della Sub Pop mentre lo stereo sputa qualche riff acido dei Mudhoney.  Immaginate la gioia che possa aver provato al termine di quella chiamata “Contratto” proveniente da Seattle. Roba da graffiare tutti i muri come un gatto in calore. Anni fa, in pieno boom Cobainiano, ricordo un amico andare in escandescenza per Negative Creep dei Nirvana.
Lui non sapeva suonare, semplicemente faceva partire la canzone a volume da suicidio per poi strimpellare cose a caso su di una chitarra acustica. Ecco, immagino che anche a Toronto qualcuno abbia passato più di un pomeriggio in compagnia di BleachRats, Wasted – , per poi passare a Superfuzz Bigmuff dei Mudhoney appena la maglietta si fosse inzuppata di sudore – Knife In The Water.  Vi sbagliate però se pensate a questo esordio come un revivalismo da cover band in camicia di flanella, qui il Wall Of Sound è un tantinello più alto e distorto. Basti pensare alle influenze post-moderne di “Get Off – Garage come se gli Hives del primo disco avessero scelto i Pixies anziché la scena scandinava –, al loro scontrarsi con certe visioni distorte del medesimo concetto – Wet Blanket -, esattamente come accadeva qualche tempo fa presso altre scuderie altrettanto rinomate – In The Red Ndr.
Non so se chiudere questo trio in un recinto sia stato fruttuoso o meno, ma so che tra le righe ho scorto tanto potenziale da far strimpellare di gioia anche le nuove generazioni.