Palma Violets – 180

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Che la festa cominci! I Palma Violets, esordienti di questo giovane 2013 (citati anche nell’ultima puntata di Talent Radar), portano la giusta dose di rabbia e distorsioni. Scanzonati e fighetti quanto basta, il nostro gruppetto si muove tra ondate punk alla Ramones (Rattlesnake Highway) per poi abbracciare, anche se in modo abbastanza rude e primordiale, l’indie-pop londinese alla Chapel Club, sfiorando anche i Kinks in All The Garden Birds, in particolare per alcuni movimenti che sembrerebbero ispirarsi a All of My Friends Were There.

C’è stato, nel nostro Paese, chi ha puntato sul loro successo già dalla breve e pomeridiana, esibizione tenutasi all’A Perfect Day Festival del 2012, quando suonarono con band del calibro di Mogwai, Franz Ferdinand e The Vaccines. E all’estero i complimenti non sono stati da meno: ecco infatti che il quotidiano The Guardian, senza timore, ha additato questi giovani ragazzi come i figli più dotati e meritevoli dei The Doors. Ma di dati a supporto di tali opinioni ve ne erano ben pochi, soprattutto per via dello scarso materiale pubblicato. Oggi, disco alla mano, ci permettiamo di ritenere tale paragone poco azzeccato.

Best of Friends, il primo singolo, dalle dinamiche sporche e grezze, dà il tocco iniziale per questo disco che sembra la colonna sonora perfetta per i classici e mai fuori moda festoni da college americani: quelli che si fanno nelle palestre, in piena estate, del genere “datemi una chitarra, un distorsore, e poi tutti a buttare rotoloni di carta igienica giù per l’istituto!” E così, sullo stesso sfondo si cristallizzano Johnny Bagga’ Donuts, dalle tastiere psichedeliche danzanti felicemente su pattern Rock‘n’Roll, e Step Up For The Cool Cats, dove atmosfere surfy si scontrano piacevolmente con barriere ritmiche travolgenti e abbellimenti western, un po’ Django Django.

E come in ogni party adolescenziale che si rispetti arriva sempre il momento “tempo delle mele”, la parte melensa, quella fatta per gli abbracci inebriati da ballate lente e romantiche sotto le luci caotiche della mirror ball. Smettete di buttare punch e droghe pesanti nei succhi di frutta dei vostri compagni e riscaldatevi sulle note di Three Stars: pezzo stereotipato melodicamente, ma, nonostante tutto, emotivamente forte, grazie alla voce profonda e cupa di Sam Fryer e ai piatti vibranti di Will Doyle che scorrono come brividi lungo la schiena dando il via libera all’ultima traccia: 14. Riprendendo le distorsioni ritmate dei pezzi precedenti, qui, le influenze sentimentali si fanno sentire maggiormente, tant’è che il disco si chiude con un tocco melancolico, che non fa altro che impreziosire questo esordio, per niente pretenzioso, ma audace e incazzato quanto fu all’epoca quello degli Strokes.