Attitudine e visuals: Dopo il Tolstoj filtrato Apparat della scorsa settimana, Torino si addentra nella sintassi joyc-iana dei Liars, con l’intenzione di perdersi nei meandri delle architetture digitali del trio newyorkese, per quello che si preannunciava come l’evento di punta del (succulento) cartellone di live music targato Musica90.
Se l’orario d’inizio – leggermente anticipato rispetto agli standard – va probabilmente un pò a cozzare con l’indole(nza) notturna dei tre vampiri suburbani, la location prescelta risulta quanto mai azzeccata: lo scheletro post-industriale delle OGR (Officine Grandi Riparazioni, roccaforte del cento cinquantenario dell’Unità nazionale) sembra gridare “rave party” a Angus Andrew e soci; ed esprime al meglio l’incognita della (ri)costruzione e riqualificazione di unluogo x: quella variabile che per i Liars è il “dopo-rock” all’epoca del post-tutto (o del post-a-minchia, per dirla alla Laghetto, che probabilmente i Liars avrebbero apprezzato se cresciuti nei centri sociali bolognesi).
Setlist: Come sciolgono la matassa del “rock allergico alla retromania” i Liars? “E dire che allora…”Eh?! Non la sciolgono. Con un’abile mossa Kansas City – ricordate il film “Slevin – Patto Criminale”? – questi diabolici mistificatori dell’indie-rock ci fanno forse guardare il dito e non la Luna? Ci prendono per il culo? Da una parte predicano pastorali liturgiche à la “WIXIW” dall’altra innestano nei nostri cervelli un tunz tunz da generazioneTrainspotting 2.0 (che al posto di guardare i treni sfrecciare, aspetta gli aggiornamenti su facebook?) vedi la dinamitarda “Brats”. Salvo poi schiaffarci in quell’angolo del loro arzigogolato poligono musicale che quando spinge sull’acceleratore del post-punk meticcio (degli esordi), dà la sensazione di potersi davvero avvicinare ad una delle più riuscite versionipost-ideologia dei P.I.L. di John Lydon, con tutte le malizie e le provocazioni dell’era digitale
Audio: Per gli incubi condivisi coi Liars sono doverosi volumi adeguati – leggasi – apocalittici. Serve in sostanza l’onda d’urto che ti porta a vomitare la cena troppo abbondante col sorriso sulle labbra. Tutto ciò non avviene – l’ambiente è sconfinato d’altra parte… – ma impianto e strumentazione doing their job egregiamente, laddove l’architrave ritmico condiviso tra il drumming alienato di Gross e i synth glaciali di Hemphill – gestito con una sapiente ma mai stucchevole “pulizia” – diventa acida pioggia hi-tech.
Locura/Momento Migliore: accorpiamoli nel gesto d’uno sbadiglio. Non che Angus non ci metta del suo dinoccolandosi a mo’ di metronomo umano come un predicatore dell’Underworld e non che ci aspettassimobarzellette, ma il leitmotiv del concerto è una stasi ritualistica, non sempre coinvolgente. Ma d’altra parte nel DNA di outsiders dei Liars assecondare il pubblico non è mai stata una prerogativa, anzi. Imputabile alla metamorfosi fisiologica e psicologica del sound-Liars (certo i corto circuiti post-punk-funk degli esordi dovevano essere altra cosa on stage) o, se vogliamo, anche all’assenza pressoché totale di visuals (fissa e inamovibile la geometria che ormai costantemente accompagna la band), al live dei Liars manca effettivamente “quel guizzo in più”.
Pubblico: Camaleontico, come le esplorazioni soniche dei Liars. Neofiti incuriositi dal fil rougecostituito con il festival “Architettura in città” già in loco e, tutto sommato, affine al mood del trio newyorkese. Parterre ovviamente disunito, a costellare l’immensa area delle Officine: croce o delizia a seconda dei gusti, la maglie larghissime tra l’audience non facilitano certo l’interazione, ingessando non poco una bolgia la cui temperatura non salirà mai.
Conclusioni: Sulle rovine del rock i Liars costruiscono un futuro distopico, difficile da codificare ma anche solo da guardare negli occhi: il loro è un assalto all’universo (electro-)pop alla maniera di/dei Luther Blisseth, il collettivo “cyber-anarcoide” (ma) a suon di best sellers editoriali. I fantasmi di New York e Berlino, vagano adesso in un cimitero virtuale e i Liars sembrano crogiolarsi nell’introspezione. Scetticismo al potere. Tutto vero. Tutto falso. The great indierock swindle.