Turin Brakes – We Were Here

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I Turin Brakes di ritorno dal loro viaggio spaziale pubblicano un album alieno. Alieno ai loro standard. Ma è una lenta conquista di una nuova vetta discografica o una piccola disdetta?

     Given the chance, I would leave this place on a rocket ship for Mars.
(Turin Brakes; Starship)

Si gioca di rimandi. O meglio è l’immaginazione a dettarli in improbabili percorsi rettilinei di ardua percorribilità. Vagando su queste linee immaginifiche, il viaggio dei Turin Brakes riparte da quel lontano 2001, anno di The Optimist Lp, album che apre alla band un sicuro e ambito spazio nel mondo della musica, tanto da decidere di omaggiarlo riportandolo in tour nel 2011. Quest’esperienza fu una sorta di addio all’umanità e iniziale partenza per una meta lontana: Marte, metafora di nuove terre da raggiungere, spazi da esplorare – la concretezza non deve esserne un fattore limitante – e prove da sopportare, per collezionare infine innumerevoli lezioni nell’animo. Questo intenso viaggio li ha portati alla pubblicazione di We Were Here.
Ce li immaginiamo questi due ragazzi inglesi, separati dall’universo stellato da finestrini che scricchiolano sotto il peso della gravità, a fissare con occhi sbrilluccicanti, dentro la loro astronave, il pianeta Terra. Sono lì dietro e dicono strisciando le dita sul vetro “Noi eravamo qui” e verrebbe da aggiungere “E ora dove siamo finiti?”. Una sorta di felice addio a tutto ciò che era stato.

Dopo un viaggio del genere non possiamo che aspettarci un qualcosa di ottimo. Non per forza un’opera d’avanguardia musicale, ma perlomeno di scoperta personale. Eppure non vediamo la svolta da nessuna parte. Anzi sembra che i Turin Brakes, tra le punte di diamante del folk-pop britannico, abbiano perso quella loro sensibilità e quel loro tocco lacrimevole che aveva impreziosito pezzi come The Road o Future Boy o ancora meglio Rain City. Ci sono belle armonie, pezzi canticchiabili e di una certa bellezza come la stesso We Were Here e il singolo Time and Money, ma qualcosa è cambiato. È come se si giocasse a fare folk. Però non bastano quattro accordi di chitarra e una bella voce.

A volte mete come Marte sono inutili da raggiungere; ma c’è un altro pianeta rosso, vivo, pulsante, abitato da ricordi, sentimenti e ambizioni, che riesce ad aprire in noi fantasia e purezza. E ogni tanto è bello stare ad ascoltarlo. Non è molto lontano. Si trova così vicino a noi eppure sembra il posto più arduo da raggiungere: il cuore. E il nostro corpo ne è la gabbia. Ci sono cose, persone, opere d’arte in grado di dischiuderlo. We Were Here non ne fa parte.

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