Motorpsycho: Tre motociclisti adolescenti, delinquenti e ribelli

Da Throndeim in Norvegia, a due passi dal circolo polare artico, la musica dei Motorpsycho è riuscita negli anni a sorvolare, oltrepassandoli, i confini dell’emisfero nord. Una carriera musicale lunga più di vent’anni la loro, accompagnata da una massiccia e aggressiva dose di live, da collaborazioni più disparate e da una discografia sterminata che dal 1991, anno di pubblicazione dell’album Lobotomizer, passa poi attraverso dischi del calibro di Demon Box (1993), Timothy’s Monster (1994), Blissard (1996) e Angels and Daemons at Play (1997), fino ad arrivare all’ultimo Still Life With Eggplant. L’aurora boreale sonora dei Motorpsycho travalica così le proprie origini, modellando i generi su incursioni sonore eclettiche sempre nuove e insolite. Per ripercorrere la personale “Via del Nord” dei Motorpsycho abbiamo fatto qualche domanda ad Hans Magnus Ryan, meglio noto come Snah, anima e mente del gruppo assieme a Bent Sæther.

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Sorvolando una categorizzazione di genere precisa, la vostra musica risente sicuramente di una buona dose di eclettismo. Come definireste questa attitudine in rapporto al vostro sound e quanto è importante per voi essere poliedrici?
Ogni arte e scienza attinge dai progressi storici e dall’ascesa e dalla caduta di dogmi e ismi. Io, in quanto membro dei Motorpsycho, non ho alcun interesse a esplorare la musica indipendentemente da forma e tradizione. Devo essere aperto a qualsiasi forma di ispirazione cercando di essere il più possibile flessibile. Solo così ho la possibilità di progredire musicalmente.

Il vostro nome è legato all’omonimo film di Russ Meyer del 1965. Come mai questa scelta e quali immagini del film e suoi significati potrebbero rispecchiare il vostro modo di vivere e di fare musica?
Tre motociclisti adolescenti, delinquenti e ribelli? L’aggressione, il saccheggio e la rapina. Questi sono i Motorpsycho in poche parole. Trovo che i film di Russ Meyer siano molto sottovalutati e noi abbiamo voluto prendere il nome da un suo film anche perché si adattava alla perfezione all’anima della nostra band. È come una sorta di yin e yang dello stesso.
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Un semplice e magari insolito aggettivo per definire alcuni dei vostri album..
Lobotomizer
Acufene
Demon Box
Nel turbine con Deathprod
Timothy’s Monster
Notevole aggiunta di corde e del mellotron
Blissard
Cos’è andato storto?
Angels And Daemons At Play
Power-trio ..fusione atomica
Trust Us
La fine di un’era
Let Them Eat Cake
Oops..io non faccio surf!
Child Of The Future
A letto con Kenneth Kapstad
Heavy Metal Fruit
La musica non si ferma mai
Still Life With Eggplant
L’arrivo del grande Reine Fiske e venti nuove canzoni

album coverParlando del vostro ultimo lavoro discografico…Da quale idea nasce un titolo così singolare come Still Life With Eggplant? Un titolo davvero bizzarro..potrebbe rispecchiare anche un po’ uno dei tanti aspetti della vostra indole musicale?
Il titolo deriva da un genere pittorico e dalle discipline che un pittore, in quanto tale, si suppone dovrebbe padroneggiare. Tu puoi conoscere a fondo diversi generi ma potresti essere ancora lontano da una forma di espressione totalmente personale e non riuscire così a rivelare realmente te stesso come artista. Questa è la mia più grande paura.

Dopo California Dreamin inserita in 8 Soothing Songs For Ruth, in questo album compare la cover dei Love, August, come mai questa scelta?
Ho visto Arthur Lee un paio di anni prima che morisse. Il suo stile era intatto, ci siamo commossi tutti dopo il concerto. È stato sorprendente! Siamo stati ossessionati da questo pezzo per molti anni, senza essere mai in grado di riuscire a suonarlo bene. L’anno scorso è riuscito tutto in una volta…

La sperimentazione libera della suite di 17 minuti Ratcatcher da quali sentimenti è stata ispirata?
In studio c’è stata una grandissima interazione tra me, Bent Sæther e Reine Fiske. Il pezzo è in realtà una composizione tra due take. È stato molto simile a come Holger Czukay editava una jam dei Can. È stata una fusione emozionale molto piacevole che è passata attraverso differenti stati d’animo. Credo che i musicisti debbano davvero ispirarsi a vicenda.

E invece la delicatezza formale del brano The Afterglow come nasce?
È un pezzo che ha molto a che fare con un’attitudine più “folkie” alla scrittura e che ritorna spesso nell’album anche grazie alla forza aggiunta di Reine a suonare la chitarra acustica.

Come è nata la collaborazione con lui?
L’ho incontrato a Stoccolma negli anni Novanta, aveva l’abitudine di seguire tutti i concerti dei Motorpsycho. Trascorrevamo del tempo a parlare e a divertirci. Io non sapevo che lui suonasse la chitarra fino a quando, credo nel 2005, non ho visto una foto dei Dungen. Non me lo aveva mai detto! (n.d.r. ride). Quando qualche anno dopo l’ho incontrato aveva da poco iniziato a suonare negli Elephant Nine con Ståle Storløkken. Avevamo in cantiere così tante canzoni e desideravamo sviluppare ulteriormente il nostro sound..abbiamo così chiesto a Reine di essere il nostro socio rivoluzionario, la carta selvaggia, il guru della chitarra. La nostra interazione, l’influenza reciproca non conosce confini e abbiamo a appena cominciato!

Parlando sempre di collaborazioni come è nato l’incontro con Ståle Storløkken dei Supersilent e la Trondheim Jazz Orchestra, nell’album The Death Defying Unicorn?
Tutto è iniziato con una proposta per un lavoro per il Molde Jazz festival in Norvegia. Abbiamo composto una versione strumentale rudimentale, eseguita durante il festival. Abbiamo poi continuato a lavorarci su trascorrendo l’anno successivo a registrare. Con Ståle abbiamo fatto l’Unicorn tour europeo e tre esecuzioni live speciali all’interno del Teatro Dell’Opera norvegese con la Trondheim Jazz Orchestra e la Trondheim Soloists. In futuro ci piacerebbe realizzare un dvd di questi spettacoli.

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Come è andata invece con In the Fishtank 10, realizzato con il Jaga Jazzist Horns e prodotto da Zlaya Hadzic?
L’olandese Konkurrent l’ha ripubblicato non molto tempo fa. Credo sia ancora un album di grande rilevanza. Peccato che non siamo riusciti a proporlo dal vivo. All’epoca eravamo molto intimi con i ragazzi della Jazzist ma poi abbiamo intrapreso direzioni differenti. Non li ho più rivisti negli anni successivi.

Quali sensazioni ha generato la fusione della vostra musica con la voce di Hanne Hukkelberg in Heavy Metal Fruit?
Avevo intenzione di aggiungere una terza voce su Gullible’s Travails. Il suo timbro vocale si fondeva così bene al mio e a quello di Bent. In realtà stiamo pensando di chiederle di fare un brano anche nel prossimo album. Lei è così immensamente musicale.

Come è stato infine lavorare con Steve Albini nell’album Child of the Future?
L’Electrical Audio studio a Chicago è un luogo di condivisione. Se vuoi lavorare lì, riesci facilmente a ottenere un sound stereotipato alla Albini. È una modalità di registrazione che è rigorosa e in un certo senso dogmatica. Albini non fa alcuna osservazione sui contenuti della musica. Il suo unico interesse è il processo tecnico e che la band prenda delle decisioni interne indipendentemente dagli input di qualsiasi produttore. Mi piacerebbe lavorare lì ancora…

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In che misura l’origine nordica ha influenzato la vostra musica?
Forse qui abbiamo un modo particolare di accordare le nostre corde. Non lo so, è difficile per me riuscire a capirlo. Tutto quello che so è che il tempo è sempre di merda qui e questo potrebbe eventualmente influenzare e riversarsi anche nella musica, aggiungendo un senso di malinconia e angoscia. Non possiamo mai rilassarci al sole e riscaldare le nostre anime. Siamo destinati a camminare immersi nel gelo con le nostre teste piegate a terra. La Norvegia può anche essere il paese più ricco del Mondo, ma ha sicuramente il tempo peggiore. Perché qualcuno dovrebbe scegliere di vivere qui? Mi sembra una condanna a vita. Io non ho altra scelta.

L’improvvisazione come espressione di libertà e progresso. Quanto è importante per voi questa idea?
Quando scrivo, improvviso. Poi decido quale parte dell’improvvisazione dovrà essere lavorata e modellata in maniera più cosciente. A volte, quando improvviso riesco a scovare le mie risorse più inconsce. Più suoni con questo tipo di mentalità, più ottieni una maggiore apertura della tua vera essenza musicale. In questo modo sì può facilmente perdere la strada giusta, ma credo sia una questione di allenamento e suggestione. La mia capacità di improvvisare mi ha portato a collaborare con musicisti del calibro di Ståle Storløkken, Deathprod, Kjetil Møster, Stian Westerhus e molti altri. È stato per me estremamente importante e prezioso riuscire a sviluppare questo aspetto della mia musicalità e portarlo nei Motorpsycho per poi svilupparlo ulteriormente attraverso la condivisione col resto del gruppo.

Suonate moltissimo dal vivo. La dimensione live secondo i Motorpsycho
La dimensione live per i Motorpsycho rappresenta l’immagine della vera band che suona canzoni vere. È possibile simulare qualunque cosa in studio quasi fino a farle perdere il significato reale. Sul palco invece no. Il palco ci fa sentire vivi ed è lì che arrivano le idee su quello che si vorrà suonare in futuro e la voglia di continuare a lavorare in quella direzione anno dopo anno.

Per concludere…Sono passati ormai più vent’anni dal primo disco, Lobotomizer, e poi tanti album ed EP, collaborazioni e live. Il cambiamento secondo i Motorpsycho.
I cambiamenti risiedono nella natura stessa degli uomini, nei propri istinti animali. Non ti resta che rimanere attaccato senza compromessi al nucleo centrale della tua idea ed essa si svilupperà naturalmente secondo la propria volontà. Solo così si sarà sempre in grado di trovare il canale per cambiare musica in continuazione. Questo è il giusto modo di approcciarsi al cambiamento.