Innanzitutto, da dove viene questo bel nome? Nello specifico, l’orso è nato glabro o ci è diventato? Qualche dritta in materia di depilazione permanente?
La genesi del nome Lorsoglabro si perde nelle nebbie del mito, e non ha un senso chiaramente definibile, conformemente alla realtà che ci circonda. Il nome è una parola, una parola un suono, e le sue assonanze interne mi sono sembrate interessanti. Lorsoglabro è da considerarsi come un vocabolo unico, indivisibile, e come tale va pensato e venerato: non è un orso, non è nato glabro né lo è diventato in seguito a incidente, è sempre stato Lorsoglabro, anche prima di esistere.
In merito alla questione depilazione, voglio schierarmi senza indugio e in maniera netta CONTRO questa forma di barbarie tutta moderna che sottende l’esistenza di peli di serie A (capelli, barba) e peli inferiori, di serie B, detti “superflui”. Ma in base a cosa viene effettuata questa arbitraria discriminazione? E chi siamo noi per stabilire se un pelo va accudito e nutrito, acconciato addirittura, mentre una moltitudine di suoi fratelli vanno incontro a un’eliminazione pianificata, un autentico tricocidio che non tiene conto di nient’altro se non dei canoni estetici di cui subiamo inconsapevolmente il condizionamento?
Impertinenze pilifere a parte, “Prezzo speciale”, il vostro secondo disco, ci è piaciuto molto: com’è nato? Ma soprattutto, perché?
Mi fa molto piacere! “Prezzo Speciale” ha avuto una gestazione lunga e travagliata, nel senso che abbiamo messo insieme brani molto diversi tra loro, composizioni più recenti con altre scritte (o addirittura registrate, come nel caso di Cani Jah) da molto tempo. Inoltre la sezione ritmica, molte chitarre e pianoforti sono stati ripresi al No.Mad Studio da Ezra Capogna, mentre le voci e gli arrangiamenti li ho fatti con Alessandro Arianti a casa sua, a casa mia, in cantina, qua e là. Questi elementi eterogenei sono stati messi in relazione tra di loro, sia all’interno dei singoli pezzi, sia nel tentativo di ricreare una trama che si sviluppasse nel succedersi delle tracce dell’album.
Sul perché sia nato, credo che le cause siano da ricercarsi all’interno di un coacervo difficilmente districabile di motivazioni disparate, dalle più nobili alle più umanamente meschine: ispirazione, passione, piacere, volontà, speranze, velleità, egocentrismo, auto affermazione.
Dopo un inizio quasi orchestrale, siete rimasti in tre: questo rende le cose più facili o più difficili?
Detta così sembra più di quel che effettivamente era all’inizio Lorsoglabro: più che un’orchestra vera e propria, una sorta di clan aperto soprattutto a fiatisti d’ogni risma, in cui si arrangiavano le mie canzoni a seconda della formazione di cui si disponeva. Adesso abbiamo asciugato all’osso la formazione; il che comporta indubbi vantaggi logistici e uno studio più attento del particolare in fase di arrangiamento. Naturalmente lo svantaggio è l’altro lato della stessa medaglia: meno soluzioni e un maggiore sforzo dal vivo. Il concetto è sintetizzabile nel motto estemporaneo “meno ma più curato”. Comunque ultimamente sta tornando a suonare con noi mio fratello Tristan, anche se saltuariamente: armonizza la mia chitarra con la sua, ottenendo un suono d’insieme più corposo. Il che mi consente anche di concentrarmi meglio sul cantato.
Ci è giunta voce che avete un modo di registrare piuttosto bipartisan (ma comunque moralmente accettabile), tra il digitale e l’analogico: si è sviluppato così per una scelta precisa o proprio perché era complicato scegliere?
Né l’una né l’altra: non è stata una presa di posizione ideologica, ma più che altro una constatazione a posteriori, a lavoro compiuto. C’è un pezzo (Cani Jah), ad esempio, che è stato realizzato utilizzando un registratore a cassette, per il resto quasi tutte le riprese sono state effettuate tramite i computers, salvo infine filtrare il master facendolo ancora passare su nastro magnetico. Un’operazione non così insolita in realtà.
Per il prossimo lavoro piuttosto, vorrei procedere con più decisione alla ricerca di quella pasta di suono che – non ci sono cazzi – le schede audio non ti danno. Mi piacerebbe incidere direttamente sul nastro.
In regime di analogia spinta, avete strutturato la tracklist di “Prezzo Speciale” pensando ai due lati del vinile. Per le scalette dei concerti che criterio usate, invece?
Ultimamente tendiamo a iniziare seri e austeri, con i pezzi più impegnativi e cantautorosi, per poi sfoderare una vena besuga via via più incontenibile, con le canzoni più tirate. Oppure entriamo in lunghe improvvisazioni orsotroniche, sino ad arrivare a situazioni che hanno più a che fare con la “performance” che con la musica suonata, al confine tra demenza e surrealismo.
A proposito di complicatezza (o per meglio dire, complessità), nella title track e in ‘Avanguardia’ pare che si parli della scontatezza dell’innovazione al giorno d’oggi: non c’è niente di speciale, nonostante si continui a ripetere il contrario, e lo stupore è prevedibile ed esatto. Come cercate allora di sfuggire al canone della stranezza? Fino a che punto non ci ricadete?
“Fuori dagli schemi si finisce in altri schemi”, per citare una frase di una canzone dei Uochi Toki, di qualche anno fa. Se tutto è speciale, niente è speciale. Sembrano ovvietà, ma nascondono il principio della grande contraddizione che ha fatto crollare interi sistemi di pensiero e l’assurdo che ha ispirato ingegnose opere d’arte come gli scritti di Lewis Carroll. Il concetto è che usando la logica, la ragione – questi meravigliosi strumenti – si finisce prima o poi per imbattersi nei buchi neri del ragionamento, proposizioni che sono allo stesso tempo coerenti col sistema di norme da cui sono state dedotte, e in contraddizione irriducibile con tale sistema. In termini più semplici – senza scomodare la grande tradizione gnoseologica (di cui peraltro mi fregio di essere un grande ignorante) – è qualcosa di molto comune nella vita di tutti i giorni. Per esempio: “vorrei essere particolare, strano; ma – essendo questo desiderio di per sé una cosa molto comune e diffusa – il mio cercare di essere strano dovrà essere cercare di risultare normale, eppure così facendo rimango ancora invischiato nel voler essere strano che – come abbiamo detto – è di per sé una cosa banale e normale, quale che ne sia l’esito”.
La reazione orsoglabrica a questo stato di cose consta nell’integrare il paradosso nel proprio immaginario, non cercando di offrirne un’impossibile soluzione, ma assecondandolo e utilizzandolo come strumento espressivo. La canzone “Avanguardia” è proprio questo, tra le altre cose: un metatesto che si autodescrive e dice di sé che non può piacere a chi si aspetta qualcosa di diverso da ciò che già è di per sé, ossia un metatesto che si autodescrive e dice di sè che non può piacere a chi si aspetta qualcosa di diverso da ciò che è, ossia… eccetera eccetera. Naturalmente la canzone ha lasciato perplessi molti recensori, lasciandomi il subdolo e meschino piacere segreto dell’esperimento riuscito.
Se tutto è speciale niente lo è, si diceva, e si cerca sempre il diverso nel nuovo. Questa brama compulsiva per la novità affonda le sue radici molto lontano, nell’idea di evoluzione che si è trasmessa dalla tecnica all’arte, garantendo alla categoria “innovativo” un peso sempre più decisivo nella considerazione generale che si dà di una manifestazione artistica, un’opera, un autore, un movimento. Ciò ha condotto a intervenire sui linguaggi artistici in maniera poco sana a mio modo di vedere, portando la musica colta e d’avanguardia in territori davvero impervi per noi esseri umani (laddove diventa difficile distinguere tra il capolavoro e la “cosa qualunque”) e corrotto l’arte in generale con lo strabordare dell’elemento concettuale (peraltro ingrediente imprescindibile della succitata canzone “Avanguardia”. Rieccoci. Assecondare la contraddizione. Integrare il paradosso).
Con questo non voglio permettermi di liquidare il percorso di un’intera civiltà, né negare che uno degli aspetti più importanti della creatività è proprio quello di saper immaginare nuove forme che stupiscano; mi limito a sostenere che lo stupore legato alla novità è solo una delle reazioni che possiamo avere di fronte a un’opera, non l’unica e non la più importante. Alla fine, alla molta musica “d’avanguardia” continuo a preferire i Beatles, così come apprezzo più Matisse di qualche stranissima e impalpabile performance di arte contemporanea.
Ma che cazzo ho scritto?
Ma a monte di tutto forse bisognerebbe capire se vi autopercepite come “strani”: se sì, quanto serve (auto)alienarsi per fare buona (o bella, o giusta) musica?
Questo non lo so, non siamo poi così strani: facciamo canzoni, seguiamo delle norme, suoniamo gli strumenti che ci si aspetta (basso chitarra batteria), in maniera non particolarmente rivoluzionaria, ci piace la musica pop. A pensarci in effetti due dei testi che trovo più rappresentativi di me si intitolano “Medio” e “Normale” (non sono in “Prezzo Speciale” ndr): però una volta una mia fidanzata nel tentativo di farmi un complimento pazzesco mi disse che ero normale e io mi incazzai. D’altra parte credo sia normalissimo incazzarsi per essere normale, non ci vedo niente di strano.
Torino aiuta in tutto questo? Il fatto che sia spesso oggetto di inchieste di Voyager influenza la scena musicale?
Assolutamente sì, in maniera totalizzante. Non possiamo trascurare il fatto che questa città sia conosciuta nel mondo come la città del Mago Gabriel e del tour in pullman “Torino Magica” (che peraltro ho fatto).
Proprio mentre scrivo queste poche righe al computer, al lume delle mie candele esoteriche, alcuni miei amici ex templari ora massoni stanno effettuando una seduta medianica proprio qui nella mia stanza per evocare lo spirito di Rol, attualmente posseduto da Cagliostro. L’obiettivo è riuscire finalmente a localizzare il Sacro Graal, anche se sappiamo tutti benissimo che l’ambita coppa null’altro è che una metafora alchemica dell’amore che risiede nel cuore di ognuno di noi.
Tutto ciò non può che riflettersi sulla scena musicale cittadina, che ha partorito artisti come Vittorio Cane e collettivi come La Piramide di Sangue, in cui i confini tra il paranormale e ciò che è scientificamente giustificabile si fanno labili.
Parliamo un po’ dei vostri progetti paralleli: ci sono novità sui Glabrador, il vostro inesistente (per ora) avatar epic metal, o è stata solo una bella illusione?
Se ne parliamo significa che esiste in qualche luogo della mente, se esiste significa che presto il fiacco mondo del rock verrà travolto da una scarica di elettricità medievale e di epica nibelungica mai viste prima. Se suona come una minaccia è perché è una minaccia.
E Lorsotronico, il vostro alter ego sul sentiero del kraut, resterà solo un’entità che vi possiede ogni tanto durante i live o produrrà mai un disco proprio?
L’intenzione di registrare qualcosa come Lorsotronico c’è, il materiale anche. Per ora esso si è limitato a manifestarsi in alcuni concerti, o facendo capolino in quelli de Lorsoglabro. In “Prezzo Speciale” c’è “Hallopollo”, che è una chiara manifestazione orsotronica, in cui la mano di Alberto (Moretti, bassista) e di Gabriele (Maggiorotto, batterista) si fa sentire maggiormente.
Infine, due parole a caso sul brano ‘Hallopollo’.
Gatto. Inzaghi.