Jon Spencer Blues Explosion – Freedom Tower – No Wave Dance Party 2015

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Avete presente una “scopata“? Pardon. Mi correggo. Avete presente una “bella scopata“? È quella cosa che succede quando due persone ci danno dentro di brutto, istintivamente. Come nuvole gonfie, a uno sputo dall’acquazzone. Per stringere il campo, diciamo che le nuvole in questione si conoscono appena, ma che dico, da neanche dieci minuti. E allora immaginiamoli, questi due scopatori. Immaginiamoli immersi nel più sudicio e tossico dei party, ammucchiati in un cesso fatiscente, coi nomi delle band incisi sulle pareti, e il water che ribolle di germi. Immaginiamoli dentro un disco dei Jon Spencer Blues Explosion.

Freedom Tower – No Wave Dance Party 2015” è il nome della serata. Ma cosa si festeggia di preciso? La morte di un’epoca. E non, come spesso accade, col solito piagnisteo da urna memoriale, bensì con un’ultima, esaltante, orgia sfrenata. Ok, ma di quale epoca stiamo parlando? Difficile dirlo, pensando a Jon Spencer, lupo mannaro americano, nomade notturno della storia del Rock. Per farcene un’idea, torniamo dentro al cesso, dove i due sconosciuti si stanno dando da fare. Sulle pareti interne troviamo scritte come “Pussy Galore” o “Boss Hog” le quali, oltre ad essere perfette per l’occasione, raccontano il passato del nostro Jon. Un passato intriso di Hardcore, Noise, Garage, Dark. Di musica che non conosce imposizioni o limitazioni dettate dal buon gusto. Dal cassonetto del Punk, e del Grunge, fino all’immensa discarica del Rock’n’Roll e del Blues mischiato col Funk. Ferocia, divertimento, libertà. Un ululato che dura da trent’anni, e che, ormai da un bel pezzo, risponde al nome di Jon Spencer Blues Explosion.

Morte di un’epoca, dicevamo. Non a caso “Funeral” è proprio il titolo del brano inaugurale. Avete mai assistito ad un funerale in cui il defunto esce dalla bara e si sbatte la sorella di sua moglie, mentre una band impazzita improvvisa una jam funky all’ennesima potenza? Ecco, più o meno il disco somiglia a questo: un baccanale transgender, ambientato a New York, capace di esorcizzare in un sol colpo gli spettri dell’undici settembre. Lo fa da subito, a partire dal titolo. Evocando volutamente quel termine “No Wave” – Qui, Contortions, D.N.A, ma a piccole dosi – e chiudendo l’album con una dedica speciale ad una delle band simbolo della grande mela (“Cooking for Television“).

Nel mezzo, un’unica grande canzone, divisa in tredici passaggi, dove un’oscuro rap di strada si accompagna a schizofreniche variazioni ritmiche, tagli bruschi, riff che muoiono e rinascono in continuazione. Un disco figlio di cosa, dunque? Di puttana, senza dubbio. Il suo parente più stretto? Ascoltando “Do the get down“, verrebbe da dire, con annesso tuffo al cuore, “III Comunication” dei Beastie Boys.

Ed eccoli adesso, i due amanti occasionali vestiti da vecchi punk, che finita la loro sveltina abbandonano il cesso del locale per andarsene chissà dove. Se la New York di Karen O ci era parsa “La Capitale della Noia”, quella di Jon Spencer ha invece assunto i connotati di un bordello manicomiale, di una pentatonica dai gradini pericolanti, di una festa per zombi arrapati. Anche se, come tutte le feste migliori, passa via in un lampo.