Killing Joke – Night Time

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Tutti hanno mangiato sui Nirvana, tranne i Killing Joke. Quando uscì “Come As You Are” nel 1991, la rivista Kerrang! Incitò i Killing Joke a muovere una causa contro Kurt e soci per aver rubato il primo riff da “Eighties”, uscita sei anni prima. Il polverone, alzato principalmente dalla rivista, si placò un paio d’anni dopo e Kerrang! stesso, quando vide che la causa non andò in porto, disse che fu a causa della morte di Cobain. In verità Jaz Coleman e i suoi non se la presero e non denunciarono i Nirvana per ragioni “finanziarie e personali”. Una decina di anni dopo, a testimonianza del fatto che non si verificarono mai attriti fra le band, Jaz cantò la sua “Requiem” assieme ai Foo Fighters, mentre Dave Grohl, ripagando il maltolto, nel 2003 incise le parti di batteria per l’omonimo album dei Killing Joke.

Questo è tutto quello che ruotò al di fuori del quinto album di Coleman e soci, mentre al proprio interno l’opera celava un vero e proprio manifesto. La rivendicazione degli anni ’80, delle geometriche danze nei dancefloor darkwave. “Night-Time” segnò l’ultimo periodo notturno della band londinese, gli ultimi attimi di goth-rock scanditi dalle inconfondibili rullate di Ferguson – colpi inesorabili di chiarissima ispirazione bansheesiana, di ancora più chiara ispirazione bellica.

I colpi di doppio pedale richiamano sia musicalmente che graficamente gli esordi: “Wardance” & “Pssyche”, con Fred Astaire in bastone e bombetta che danza sopra un cumulo di cadaveri durante la Prima Guerra Mondiale. I ripetuti arpeggi di Geordie rientrano in questa reiterazione meccanica e metallica che innesta e decora una certa delizia verso l’arte della guerra, verso la passione per il totalitarismo, associata ad un certo gusto per l’estetica nazi-fascista – l’amore per la dicotomica Berlino post-bellica, li porterà a registrare l’album proprio agli Hansa Tonstudio a Kreuzberg. Vedere i Killing Joke dal vivo all’epoca equivaleva ad assistere ad un’esperienza messianica – fino a poco tempo prima si portavano uno sputafuoco sul palco per illuminare con le fiamme le magnetiche retoriche di Coleman.

«Per me il fuoco simboleggia il potere della volontà; credo che il potere dell’individuo sia davvero sottovalutato. Ci piace accendere il potere della volontà nelle persone».

Una serie di connessioni elementali e psichiche facevano di Coleman uno sciamano: lui coltissimo indiano di alta casta, compositore di musica classica, felice e orgoglioso del proprio status da benestante – al contrario di gran parte dell’onda post-punk e gothic-rock -, sembra essere l’unico messia orientale capace di trasmettere il fuoco al pubblico. Nei primi anni ’80 parlava già della musica dei Killing Joke come: «Suoni d’allarme per un’epoca di autodistruzione». Egli avvertiva già il kali-yuga, e benché i metallici tribalismi meccanici degli esordi siano andati ammorbidendosi sempre di più, quel “suono d’allarme” continua a ripetersi nelle rullate della batteria, nei gravosi accordi di pianoforte in “Love Like Blood”.

Trent’anni di “Love Like Blood”: quelle tre note su quel lieve tappeto di synth segnano la fine dei suoni più neri e acidi del post-punk, squarciano l’oscurità e fanno intravedere le fioche luci dell’alba. L’alba che che lascia alle spalle le nerissime tonalità del gothic rock di metà anni ’80, la stessa alba che porterà i Killing Joke verso la luce “più brillante di migliaia di soli”. “Darkness Before Dawn” attira subito l’attenzione della massa con le urla sciamaniche nell’intro: un brano tutto un crescendo, fatto di arpeggi e rullate, fino all’ipnotico interludio di solo basso e batteria – la danza della guerra è ora la danza del fuoco. Mentre le respirazioni tantriche di “Tabazan” aprono la visuale sul futuro metallico e pieno di flanger dei Killing Joke.

Per tutta la durata di Night Time la vera protagonista rimane però quella batteria che pulsa come un cuore in preda all’agitazione, esaltando la messa in musica di una visione del mondo ad uso e consumo della band.  Una “musica in tensione”.

«La sensazione di un uomo ai tempi della Prima guerra mondiale che sta per correre fuori dalla trincea e sa che gli rimangono dieci minuti di vita mentre ripensa a quello stronzo a Westminster che lo ha messo in quella posizione. Ecco la sensazione che tentiamo di trasmettere, lo “scherzo che uccide”».