
foto di Alessandro Spadoni
Andarsene; ma dove? Nell’incerto (R.M.R.)
Daniele Maggioli – “Origamiville”
Ci sono delle parole che in alcune lingue sono intraducibili. Per esempio “flâneur”, parola francese difficile anche da pronunciare, usata da Baudelaire, quello de “I Fiori del Male“, per dare un senso a una figura bizzarra: un uomo che vaga per la città, senza mèta, un po’ a caso. Una delle particolarità del flâneur è avere uno sguardo pigro, un’altra è vedere la poesia dappertutto, un’altra ancora è avere delle ottime intuizioni sullo spazio e sul tempo in cui si trova a vivere. In tempi passati il perdigiorno con l’aureola del flaneur poteva, nel migliore dei casi, scoprire di essere un grande artista e trovare nelle cose più banali l’ispirazione giusta per comporre qualcosa che i suoi contemporanei avrebbero trovato “strana ma interessante”. “Origamiville” è l’ultima cosa strana e interessante uscita dalla testa di Daniele Maggioli, che fa il cantautore e vive a Rimini.
Origamiville: una tua canzone e un video realizzato da dei ragazzi di un liceo. Dicci qualcosa di più.
Quando sono entrato nell’aula della 5D del Liceo Artistico di Riccione non avevo un’idea precisa di quello che avrei fatto e di cosa sarebbe venuto fuori. Avevo già la canzone e ho chiesto ai ragazzi di filmare, con i mezzi che avevano a disposizione, telefonini inclusi, le immagini di una città, Rimini, e della riviera in un tratto della statale adriatica. Ho chiesto esplicitamente di non riprendere i luoghi più conosciuti, quelli più “impressi” nell’immaginario quando si parla di Rimini e di riviera romagnola. Volevo che filmati di marciapiedi, strade statali, centri commerciali, e volevo che fossero catturati da uno sguardo puro che io, per esempio, non ho più.
Come ti è venuta questa idea?
L’idea della città, e della sua immagine, è un tema che mi ha sempre affascinato. Origamiville, la città di carta, fatta di origami, è una cosa a cui ho pensato immaginando che una città possa essere come tu decidi di costruirtela. Ma, in ogni caso, si tratta di una costruzione effimera. L’idea mi è venuta quando sono diventato padre e mi sono ritrovato a vagare con il passeggino per ore, sotto casa, senza dover andare da nessuna parte: tempo dilatato, paesaggi del tutto casuali, una sensazione che non sapevo ben definire. Anche le immagini del video, nelle quali prende forma una possibile visione della città, non significano niente di particolare, non hanno un valore simbolico: non c’è un monumento, non si vede una spiaggia, sono immagini qualunque.
Eppure, insieme alle parole della canzone, fanno un certo effetto: inaspettato. Origamiville è una canzone nel senso vero della canzone. La canzone inizia con un verso semplicissimo: “sono qui per aiutarti a capire dove siamo, ma tu prima devi essere disposta a impazzire”.
Oh, grazie. Le canzoni mi ossessionano, fa piacere ogni tanto scriverne una. Mentre scrivevo il nuovo disco, che uscirà in autunno, ho cercato di non “appoggiarmi” alla chitarra, che è la cosa che conosco meglio e che mi viene da usare istintivamente quando faccio le canzoni. Ho provato a sperimentare, ho usato suoni nuovi. Poi ho cercato di superare la verbosità del mio disco “Karaoke Blues”: ho scritto in un linguaggio più rarefatto e più naturale, che per me vuol dire non aver paura di scrivere una canzone.
Che cos’è una canzone e come si scrive una canzone? Ammesso che questa domanda abbia un senso.
Quando parliamo di canzoni parliamo anche di quelli che io chiamo “mostri sacri”, i vecchi cantautori, dei quali, come dico in una canzone, non bisogna fidarsi mai. Non puoi non confrontarti ma poi devi anche liberarti. Le canzoni sono congegni complessi, fragili, minuziosi, ci si perde facilmente il senno. Il mestiere del cantautore ha molti aspetti simili con il rappresentante porta a porta.