Massive Attack – Mezzanine

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Cupo, tormentato, ridondante, carnale. Si potrebbe continuare ulteriormente con gli aggettivi per descrivere questa pietra miliare del trip hop; per comprenderne non solo la maestosità sonora, ma soprattutto la trasmigrazione dell’anima che ogni passaggio riesce ad evocare. Tutto si gioca passando dalle varianti di basso ai beat: per i quali sono stati chiamati in causa dischi che hanno fatto la storia di generi diametralmente opposti, adoperando la dinamicità come filo conduttore.

La sensazione è che a Bristol, nel 1998, Robert Del Naja (3D), Grant Marshall (Daddy G) e Andrew Vowles (Mushroom) fossero d’accordo nel sovvertire l’ordine d’utilizzo dei suoni elettronici – e del loro campionamento – in favore di un fine più elevato. Qualcosa che potesse coinvolgere chiunque lo ascoltasse da un punto di vista non rigorosamente musicale, ma sentimentale e – in alcune tracce – anche fisico. La presenza di Horace Andy ed Elizabeth Frazer (Cocteau Twins) non fa altro che acuire quanto detto veicolando il suono fino alla mente, elevando il tutto ad una condizione meditativa.

“Angel”, preannuncia sostanzialmente il leitmotiv del disco: chitarra “sporca”, scandita da una batteria secca e da pause che ne alimentano l’andamento iperbolico. Un quadro del tutto cupo e ridondante, al limite dell’angoscioso, implementato da liriche abili nel trasmettere una sensazione di salvifica protezione. “Rising Son”, ne è invece l’opposto. Un sogno inquietante dove 3D e Daddy G si prestano alle parti vocali, mentre il basso trascina l’ascoltatore attraverso una “Scala di Penrose” senza uscita.

Il primo sussulto si ha con “Teardrop“.  La terza traccia del disco, vede esibirsi alla voce una Elizabeth Frazer ultraterrena, mentre le percussioni scandiscono attimi appartenenti ad un tempo e ad uno spazio indefinito. Per questo Walter Stern edifica attraverso il video musicale del brano, una sorta di ode alla nascita umana – qualcosa di splendido che nasce compiendo una magia. Ma l’idea di liberazione alla base di “Teardrop” non dura, cadendo immediatamente nell’oblio di synth e campionamenti lugubri della seguente “Inertia Creeps”. Tutto sembra ora in divenire, mentre si alternano come fantasmi: intervalli di puro rock “Dissolved Girl” e manifestazioni armoniose “Exchange”. Il gorgo ormai è aperto, ed i nostri decidono di non porsi alcun limite. Ne è la prova “Man Next Door“, in cui convivono Cure, Led Zeppelin e The Paragons, sottolineando una passione mai celata per la New-Wave.

È “Group Four” a giustificarne l’accezione attraverso il campionamento di uno dei dischi appartenenti a chi di new wave, ambienti cupi, trasporto emotivo e fisico ne ha fatto proprio patrimonio genetico: i Depeche Mode. È infatti “Songs of Faith and Devotion ad essere campionato per il pezzo di chiusura, quasi a sugellare una continuità nell’innovazione che i Massive Attack hanno voluto operare nel contesto musicale degli anni’90, rispondendo ai loro precedenti Blue Lines (1991) e Protection (1995), oltre che a Dummy (1994) e all’omonimo del ’97 dei Portishead, insieme ai quali hanno posto le basi del trip hop e della ambient.