Paul Weller @Auditorium Parco della Musica (Sala Cavea) Roma 09/07/2015

20150709_221634
Attitudine e visual

La rassegna “Luglio suona bene” assesta un colpo vincente ospitando Paul Weller alla sala “Cavea” del Parco della Musica (Auditorium) di Roma. Non c’è nulla da fare, l’Auditorium è un passo avanti rispetto a qualsiasi altra sala concerti di Roma e non solo. Nulla è lasciato al caso, l’organizzazione è perfetta ma soprattutto gli orari di inizio sono certi e mai oltre le 21.30. Il colpo d’occhio appena entrati è davvero suggestivo. La sala è gremita: sia la galleria che la platea, ed il pubblico di ogni età, anche se in prevalenza sopra la trentina. Molti i capelli bianchi, ma soprattutto tanti genitori con bambini, cosa non usuale ai concerti, il che regala alla bellissima e calda serata estiva un senso di allegria generale. Sul palco, oltre alla batteria, è presente una postazione adibita alle percussioni molto articolata, garanzia di un suono solido e compatto: marchio di fabbrica del nostro.

L’artista inglese, nonostante i sui 57 anni, ci ha regalato circa un’ora e mezza (con due encore) di musica solida e raffinata, senza risparmiarsi, scatenandosi sul palco ed alternandosi sia al pianoforte che alla chitarra. Anche i brani di Saturns Pattern sono risultati gradevoli, grazie al valido supporto di una band giovane e affiatata. Ad accompagare Weller infatti troviamo il bravissimo chitarrista “Steve Cradock”, “Andy Lewis” al basso, “Steve Pilgrims” alla batteria, “Ben Gordelier” percussioni e “Andy Crofts” tastiere e occasionalmente chitarra.

Audio
Non ci sono posti a Roma che, presentano la stessa elevata qualità sonora dell’Auditorium. La sala “Cavea”, che peraltro è all’aperto, è strutturata come fosse un anfiteatro romano in modo da garantire, da qualsiasi angolatura, la stessa eccellente qualità sonora. La cosa che più colpisce è stata senz’altro la fusione totale fra la batteria e la postazione adibita alle percussioni, irrobustendo il suono e assemblandosi perfettamente con le linee calde del basso. Menzione d’onore per la consueta abilità chitarristica di Weller: mai con il plettro – tranne in rari casi – in un continuo alternarsi con Steve Cradock sulle parti di lead guitar davvero sorprendente . Le tastiere, mai ingombranti, costruiscono un tappeto sonoro “liquido” di gran lunga più efficace rispetto al disco: soprattutto nei brani più psichedelici tratti da Saturns Pattern.

Setlist
Molte le canzoni (ovviamente) dall’ultimo Saturns Pattern, collocate in prevalenza nella prima parte del concerto, che dal vivo hanno reso egregiamente. La parte più vibrante ed energica è stata quella centrale con in sequenza brani del vecchio repertorio: “Wild Wood” (ultima volta suonata dal vivo nel 2013) “Friday Street” (Heavy Soul), “Porcelain Gods”, “You Do Something to me” (Stanley Road) e “Com on / Let’s go” (As is Now) per poi inebriare il pubblico con “Start” dal repertorio dei “Jam”. La chiusura della prima parte è affidata alle stupende “Peacock Suit” (Heavy Soul) e “Whirlpool’s End” (Stanley Road). Un doppio encore finale che ci ha regalato “My ever Changing Moods” – la più bella a mio parere del repertorio Style Council – e il botto con “Town Called Malice” (Jam).

• I’m Where I Should Be Long Time
• From the Floorboards Up
• White Sky
• Into Tomorrow
• Above the Clouds
• The Attic
• Saturns Pattern
• Going My Way
• Wild Wood
• Friday Street
• Porcelain Gods
• Brand New Toy
• You Do Something to Me
• Come On/Let’s Go
• Start! (Jam)
• Peacock Suit
• Whirlpool’s End
• Wild Blue Yonder

Encore 1:
• Out of the Sinking
• These City Streets

Encore 2:
• Picking Up Sticks
• My Ever Changing Moods (Still Council)
• Town Called Malice (Jam)

Pubblico
La cavea praticamente esaurita, tutti all’inizio compostamente seduti per poi in platea ammassarsi vicino al palco e pogare: soprattutto durante l’esecuzione dei brani del repertorio” Jam”.

Locura
Una donna sulla quarantina riesce a salire per ben due volte sul palco e abbracciare il suo idolo: per poi essere rovinosamente rigettata dalla security sulla platea. A fine del concerto degna di nota la grinta con la quale buona parte del pubblico – disposta a tutto, anche allo scontro – ha deciso di gettarsi sul palco per assicurarsi i cimeli più disparati – scaletta, e plettri in particolare – e con la security, come al solito, poco disposta ad assecondarli.

Momento migliore
Weller al piano ad intonare la bellissima e struggente “You Do Something to me” e la conclusiva “Town Called Malice” a conferma di una perfetta fusione fra rock e soul che il nostro ha sempre incarnato in tutta la sua produzione musicale.

Conclusioni
Paul Weller dal vivo è una macchina da guerra, un performer straordinario. Si muove e suona ancora come un ventenne, e la sua abilità con la chitarra si è molto affinata con il tempo: sia nell’ accompagnamento (mai con accordi scontati e spesso utilizzando “partiture jazz”) sia come solista. Un musicista davvero completo che non mi stancherò mai di rivedere.