CHVRCHES – Every Open Eye

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Nel 2012 la BBC aveva promesso che i CHVRCHES sarebbero diventati una band di successo. Quel successo è sotto i nostri occhi e le motivazioni vanno cercate, tra le altre cose, nei tastieroni potenti, in una frontgirl che si fa rispettare in giro e nella capacità di proporre canzoni che le radio potrebbero non trascurare. Però, una volta ammesso questo, resta difficile spiegarselo del tutto, quel successo. E il quesito vale anche (e soprattutto) per chi ascolta sintetizzatori e vocine ogni santo giorno dal 1982 o giù di lì. Forse al trio manca un elemento veramente connotante – al di là della voce di Lauren Mayberry – che possa indicarci che cosa abbiano in più i CHVRCHES rispetto a tantissimi meno noti che viaggiano su simili coordinate. Se qualcuno sostiene che, in fondo, l’elettronica in formato canzone può dire qualcosa di buono ma non qualcosa di nuovo, con alta probabilità si sbaglia. Anche il citazionismo spinto di Neon Indian dice qualcosa di degno e nuovo, almeno per come è confezionato. Poi c’è chi al taglio melodico rassicurante appaia scelte ritmiche meno stereotipate e più rivitalizzanti – Empress Of. Molti giocano meglio dei CHVRCHES con il disarmante lolitismo vocale – figlio naturale di Valerie Dore e Diana Est -, autentico superamento del confine tra fragilità e consistenza – prendere i Ladytron, of course.

Esiste una marea di nomi piccoli e piccolissimi – Phantogram, I Break Horses, BLSHS, Feathers, per dirne pochi – che esercita il proprio diritto a rimetabolizzare un suono che è vecchio solo in parte. E poi ci sono i CHVRCHES, ok. Gli scozzesi oggi contribuiscono alla causa con un disco che, a seconda dell’angolazione è più piatto o più compatto di The Bones Of What You Believe. Per quel che può valere, la copertina di Every Open Eye è quanto meno decente in confronto all’altra. Certo, quando spostano leggermente i propri canoni – la lenta “Down Side Of Me” – il timbro di Lauren mostra un po’ la corda. A tratti sembra davvero difficile sganciarsi dai cliché sedimentati. Ne consegue che i momenti in cui Martin Doherty prende il microfono – “High Enough To Carry You Over” – sono fondamentali: molto più di una semplice divagazione – nella deluxe edition c’è anche l’ottima “Follow You“.

Ma con i CHVRCHES il rischio “Eurofestival” è sempre dietro l’angolo e anche un pezzo tra i più validi come “Keep You On My Side” rischia di azzopparsi per una smania costante di arrivare a un ritornello colmo di pathos. Alla fine il punto è questo: se avete la necessità di introdurre “enfasi ad azione rapida” che investa il corpo prima del cuore, Every Open Eye può andare anche bene, ma se c’è bisogno di ambivalenze, ironia accidentale, disillusione e nostalgia pesante, bisogna cercare altrove.