Crosby, Stills e Nash – Roma @ Auditorium – Parco della Musica– 04.10.2015

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Attitudine e visual

Nel mondo del rock sono davvero pochi coloro che riescono a mantenere una capacità di stare sul palco in modo così professionale. Siamo di fronte a tre artisti purissimi che hanno attraversato tutte le fasi del rock, salite e discese, viaggi lisergici e resurrezioni improvvise. Quale migliore location se non la creatura voluttuosa e lignea di Renzo Piano, che culla le evoluzioni sonore non solo del trio, ma di tutto il gruppo che l’accompagna. La voce stridente come una coltellata di Crosby si aggrappa ai soffitti della Sala “Santa Cecilia” – che finisce per esaltarne le peculiarità. Degno di nota il fantastico completo total jeans che ultimamente accompagna le esibizioni di Graham Nash: sempre così signorile e così inglese.

Audio
Nulla da dire sull’acustica. Una volta David Crosby scrisse che il trio era in possesso di tre voci differenti con accenti molto diversi. Eppure l’effetto che ne venne fuori quando le tre voci si trovarono in studio fu davvero sorprendente, anzi magico – sempre per usare le sue parole. Dato per assodato ciò, queste voci senza tempo trovano la loro collocazione ideale nella cornice dell’auditorium di Roma che le scolpisce nelle orecchie degli ascoltatori come se fossero lì da sempre. E così il blues di Stills, le venature pop di Nash e la psichedelia rock di Crosby sembrano trovare una unica via di ascolto. Effetto unico.

Pubblico
Da notare ciò che ormai è una costante nei concerti di questi vecchi leoni del rock: ci sono tanti giovani e tante persone che invece hanno vissuto quegli anni. Eppure grazie alla forza di queste canzoni il tempo sembra compattarsi. E così si assiste allo sguardo emozionato di persone che, ricordando la giovinezza, si lasciano emozionare. E poi ci sono i ragazzi, che li hanno ascoltati su vecchi dischi e che mai avrebbero immaginato di vederli dal vivo. Impressionante vedere un ragazzo che al termine di Almost cut my hair fa il gesto dell’inchino a Crosby.

Locura
La seconda parte del concerto comincia con Graham Nash che si presenta sul palco con un calice di buon vino rosso, che sorseggia tra una canzone e l’altra durante la parte finale del concerto. Piccolo dettaglio che rende Nash, che gli altri componenti del gruppo hanno sempre chiamato Willy, davvero unico nel modo di interagire col pubblico.

Momento migliore
E’ davvero molto difficile individuare un tratto saliente che si distingue sul resto del concerto. Sono davvero pochi gli artisti che riescono ad avere un livello così alto di performance. E dunque dobbiamo scendere nel campo del soggettivo, e vista la mia passione per Nash non posso che citare Chicago e Dejà Vu. Naturalmente sugli scudi anche Carry On – in apertura -, e Our House mentre il finale è affidato al classici Teach your children e Suite. Judy Blue Eyes rimane un quadro rinascimentale da incastonare nel tempo immemore della musica.

Conclusioni
C’è davvero molto poco da aggiungere. Definirli supergruppo è davvero riduttivo. Si tratta di tre artisti, tre viaggiatori del rock giunti a questi lidi dopo avere seminato con le loro esperienze nei Buffalo Springfield, Hollies e Byrds le fondamenta della musica pop rock. Eppure sono stati in grado di esplorare, con formazioni diverse sentieri musicali che spaziano dall’intimità di una camera alle memorabili esibizioni nei festival hippy. Riuscendo a creare qualcosa di unico e definito pur mantenendo e continuamente riaffermando le loro individualità. E’ un esperimento davvero unico e difficilmente ripetibile: proprio come la voce baffuta di Crosby, il virtuosismo country blues di Stills, e la raffinatezza pop di Nash.