Sorge – La guerra di domani

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Guarda la nostra vita.

Basta spostare due virgole per renderla

affascinante o un fallimento.

Molti tra di noi, giovani, si sono persi nei tappeti singhiozzanti delle drum machine. L’eterno ritorno della fredda sintesi ritmica. Chi scrive ha passato diversi mesi a giocare con un Korg MX, eccitato dai led di un rosso un po’ pesca che saltellavano da un pulsante all’altro, in perfetta sincronia con la musica che ne era il risultato. Hancock 96, prima traccia de La guerra di domani, riporta al freddo siberiano dei lenti giorni passati a muovere timidamente gli oscillatori, senza sapere cosa sarebbe potuto succedere a quei suoni predefiniti.

È quell’intro vagamente DeFonseca che ci proietta da lontano una nuova figura di Emidio Clementi. In quanti dicevano: i Massimo Volume parlano sulle delle chitarre distorte, invece gli Offlaga Disco Pax parlano su basi elettroniche? Era questa la differenza per certi nuovi arrivati nel mondo della musica. Oggi gli Offlaga non esistono più, si sono voltati ad una lapide; Sorge allora fa da sintesi tra ciò che è stato del gruppo legato a Max Collini e ciò che rimane delle narrazioni di Clementi.   

C’è un pianoforte nel mezzo a interrompere il flusso elettronico. Quello che sembra essere momento di scontro, in realtà è momento di genesi. Infatti, molti dei brani qui raccolti nascono da brevi e semplici linee melodiche registrate dallo stesso Clementi suonando sul vecchio e austero pianoforte della nonna della moglie, mandate poi a Marco Caldera (produttore, musicista, tecnico del suono nonché co-produttore di Aspettando i barbari dei Massimo Volume), secondo elemento di questo progetto. L’essenzialità neo-classica si percepisce sopratutto in brani come Il cerchio, dove quel comincio pianofortistico ci introduce quasi ad un brano degli Elettronoir. Necessario dire però che di influenze italiane esplicitamente citate dal duo non ce ne sono, ma si citano sorprendentemente i Wu-Tang Clan, l’ultimo disco di Gil Scott-Heron e la malinconia che in questi vive sotto tasti d’avorio.

Bar destino procede con lo stesso fare intimo, ma al contempo enciclopedico, dell’antica perfezione di Alessandro (in Stanze). Non ci sono più Annalisa, Roberto, Mirko Bencivenni, Cappa Giovanni ma Emanuele, Alessandra, Giorgio che dice che esiste un confine, una linea che divide la vita che funziona e quella che uccide, Massimo e ancora molti altri. Questo brano risponde in pieno a quella costruzione di diorami umani al di fuori dei quali Clementi riesce ad osservare il mondo. In questo diorama vive anche Nuccini, ovvero Corrado Nuccini (Giardini di Mirò) al quale è dedicato il brano omaggio all’Italia che porta il nome del musicista.

Emidio Clementi rimane fedele al suo ruolo narrativo. Si libera solamente di alcune gabbie impostegli dalla forma post-rock dei Massimo Volume, riuscendo così a scrivere con nuove combinazioni ritmiche e metriche. Al contrario di quanto fece Sorge, per sempre maschera russa. Richard Sorge, infatti, era una spia sovietica che morì per mano dei giapponesi nella seconda guerra mondiale; fino alla sua morte fece ciò che più odiava: il nemico nazista. Per tutto il disco rimaniamo in quella faglia tra ciò che si è e ciò che la vita ci conduce a essere, come dice lo stesso Clementi.