In macchina, verso il Sidro Club. Su Radio 2 ci sono Giletti e Mogol che tentano di combinarne un’altra – ricordate il caso Tenco di qualche settimana fa? – proponendo una “Questione di Feeling” con Cocciante al piano e Lola Ponce al posto di Mina: ci guadagnano gli allupati ma ci perde la musica. Un revival per over 50 martellante (che secondo voi rispetta l’arte in oggetto?), quello messo in atto dal servizio nazionale (e non solo), che ancora una volta mette in mostra un paese bisognoso di palliativi, in barba alle nuove proposte nostrane, e che spesso vede anche nel sottobosco musicale – come nello sport –, anteporre il nome emergente straniero a quello autoctono – l’abusato “Giccherinho” di Contiana memoria.
La cosa risulta anche più drammatica quando ci si deve approcciare alle band che sgomitano nell’underground. Perché seppur anche in questo caso ci si trovi al cospetto di una buona fetta di formazioni mediocri, spesso si finisce per bollare tutto con l’unica etichetta (“Made in provincia”) possibile all’occhio dell’ascoltatore italiota medio: “Sono Italiani, cosa pretendi” – salvo poi sbavare per quel simpaticone di Calcutta, che in realtà lo si voglia o no, rappresenta uno dei casi più eclatanti alla voce: “Target centrato e affondato”, bravo lui.
Ma insomma, questa qualità, queste band fantastiche che certa critica “illuminata”spesso decanta esistono o sono solo frutto della fantasia di qualche scribacchino collaborazionista? La risposta, assistendo alla performance live delle due formazioni in oggetto, è certamente sì. La folgorazione è immediata. Laura Mancini, voce dei “My Home On Trees” deve essere una tipa con cui non scherzare troppo. Il suo stare sul palco è perentorio e delizioso al contempo: grinta furente nascosta dietro ad una frangia. Le sue bordate vocali acide e potentissime vengono sorrette in maniera decisa da una band priva di sbavature e capace di mescolare i riff schiacciasassi di matrice Sabbath con l’approccio disinibito di certi Fu-Manchu, lasciando agire sullo sfondo un’estetica Hippy à la Jefferson Airplane. Sono sotto Heavy Psych Sound, ve ne parleremo a breve approfonditamente.
Poi arrivano i Tori. Qui, il curriculum parla chiaro – segnatamente Giampaolo Farnedi già con Brant Bjork e Nick Oliveri (Mondo Generator, e progetti solisti) – ponendo in essere qualche riflessione, della serie: o questi mostri sacri si sono rincoglioniti del tutto, o forse qualche batterista niente male ce l’abbiamo anche noi. Ma la cosa non finisce qui, ovviamente. La formazione dei Them Bulls può contare su svariate componenti, non seconda quella di possedere un frontman (Daniele Pollio) dotato di una buonissima estensione melodica, associata all’uso della chitarra (portante), che fa il paio con quella di dell’ottimo Francesco Pasi (anche backing vocals).
Lo scarto però, come spesso accade, si manifesta in sede live. La band ha da poco fatto uscire il full length d’esordio omonimo, proponendone una versione dannatamente fedele nella precisione d’esecuzione quanto esaltante nei modi. Inarrestabili come Panzer, regalano uno tra i top live visti nella location Savignanese. Sanno chi sono e vanno dritti all’obbiettivo, scherzano col pubblico, non si prendono troppo sul serio, lanciando sprazzi di qualità eccelsa di stampo Stoner-Rock. La loro, però, è una proposta meno tradizionalista, più variegata nei suoni e nell’approccio; talvolta, come segnalato in sede di recensione avvicinabile a certo Indie dalle chitarre nerborute – i due pezzi di chiusura del disco. Uno dei nomi di genere su cui puntare forte nell’immediato futuro.