Acquista: | Data di Uscita: | Etichetta: | Sito: | Voto: (da 1 a 5) |
3 Marzo 2017 | 30th Century Records | grandaddymusic.com |
Non sembra siano passati undici anni dall’ultima uscita discografica dei Grandaddy, quel “Just Like The Fambly Cat” che si apriva con la frase: «What happened to the Fambly cat?». In molti si saranno fatti la stessa domanda riferendosi a loro, dovendosi poi “accontentare” di una reunion (2012) senza uscite discografiche.
Tuttavia una decade non li ha cambiati. I Grandaddy riprendono il discorso da dove l’avevano lasciato, sebbene Last Place (3/03/2017, 30th Century Records) si avvicini maggiormente all’idea musicale proposta in Sumday (2003) piuttosto che quella più elaborata di Just Like The Fambly Cat, dettagli.
Alle tradizionali chitarre distorte (“Brush With The Wild”) rispondono i sintetizzatori, carichi, disturbanti (“Evermore”), marchio di fabbrica del loro sound. Elementi elettronici vengono inseriti in un contesto melodico, che generalmente non li prevede: pensiamo al synth presente nella ballata acustica “Songbird Son”. Tornano i temi alienanti legati alla società («Airplane station is a pretty great place to hide, live old-time music and it’s warm inside» da “A Lost Machine”) e torna anche Robot Jed, alter-ego del cantante Jason Lytle.
Non è necessario parlare di maturità, salti di qualità o nuove direzioni. L’importanza dei Grandaddy e l’enorme consenso ottenuto parlano per loro. Molte band si approcciano a ibridazioni tra componenti elettroniche, melodie pop e sound indie rock anni Novanta, ma l’intensità della band californiana li porta ad un livello superiore: benché gli stilemi siano gli stessi.
Nel brano di apertura, “Way We Wont”, emerge il lato radiofonico della band, con il riff principale al centro dello sviluppo della canzone. Un brano che sembra quasi concepito come divertissement, vera mosca bianca all’interno dei dodici brani che compongono Last Place; basti ascoltare “Brush with the Wild”, “Evermore” o “Check Injin” per comprendere come lo stile si discosti enormemente dal brano d’apertura.
A metà percorso Last Place prende una strada più intima, che si dirama fin dal ritornello di “The Boat is in the Barn” per terminare in “Songbird Son”. Intimità che, in questo caso, comporta l’abbandono dei sintetizzatori, degli effetti distorti che caratterizzano il suono dei Grandaddy. “This is the part” rimane ancorata al piano iniziale e “Songbird Son” diventa l’emblema del nuovo percorso artistico. Chiaramente, da un punto di vista narrativo, il processo che vede mutare la brillantezza (iniziale) in riflessività (finale) è impeccabile; sebbene da un punto di vista puramente musicale rimanga qualche perplessità.
I Grandaddy sono tornati per mostrare alle nuove generazioni la classe di chi è cresciuto insieme ad un suono, con qualsiasi nome lo si voglia chiamare; fondandone gli stilemi, e mostrando attraverso questi dodici brani quel caleidoscopio d’influenze che l’hanno plasmato nel tempo.