Fibra e la necessità di esserci a tutti i costi

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In un contesto nel quale «non contano più le parole, contano i fan» il connubio fra metacomunicazione e lettura sincera del presente diventa pressoché fondamentale. Ma servono dei distinguo. Se talvolta, vedi Rovazzi, per raggiungere l’obbiettivo basta lavorare per accumulo (tag, testi e comparsate video) basandosi su una strategia mirata nel colpire le fasce più sensibili – affondiamo i giovanissimi per conquistare anche le loro madri; quindi dai 5 ai 15 per poi fare un salto ai 50 e proseguire oltre fino alla geriatria –, in altre occasioni lo stesso meccanismo può essere rivoltato per colpire al viso compiacendo al contempo il pubblico in oggetto, smuovendolo: ma questa è roba per gente che ci sa fare veramente, non per gli strateghi alla corte del simpatico Rovazzi – che poi è Fabio De Luigi (risatina).

Il video di “Fenomeno“, singolo d’apertura del nuovo lavoro omonimo di Fabri Fibra, basterebbe da solo per dare il fumo al resto della scena descrivere visivamente tutti i cambiamenti che stanno influenzando pesantemente il modo di approcciarsi alla socialità, al lavoro e alla vita. A 40 anni vale ancora la pena rappare? Forse no, però a quell’età puoi comunque dimostrare quanto la fama, la visibilità, siano ormai diventati i termini minimi per provare a dare un senso alle proprie esistenze e magari non morire di fame.

Fama contro la fame, alla faccia del sesso facile, termine ultimo per le “Velleità” di Niccolò Contessa. Il lavoro non c’é e allora ecco aumentare le ore passate su internet, finendo per convincersi nel mettere la propria faccia su YouTube: o la va o la spacca. Un discorso circolare che il rapper marchigiano snocciola attraverso l’ottimo video a cura di Cosimo Alemà; dal set colmo di ballerine e collaboratori, passando per i videomaker di passaggio, al singolo fan, infine auto riprendendosi con uno smartphone. Questo, il trionfo di un home made disperato, croce e delizia dell’uomo moderno.

Il fenomeno non sono io, sembra dirci l’espressione di Fabrizio Tarducci – forse è giunto il momento di eliminare il nome d’arte  – posta in copertina. Ché il Rap nelle discoteche l’ha portato lui, prendendo a calci in culo quelli del grande fratello, e questa ennesima manifestazione di low profile ci ricorda quanto il successo vacuo e repentino non abbia seguito nel tempo; non è facile continuare a trasmettere concetti arrivando agilmente alla mente del pubblico, chiedetelo ai vincitori dei talent cosa succede quando si spengono le luci.

Niente parental control per il nuovo lavoro, che sono passati i tempi del Mr. simpatia, capelli bianchi e la consapevolezza di avercela fatta contro tutti: gli invidiosi, le ansie, ma soprattutto la madre – nell’occhio del ciclone durante il pezzo di chiusura (insieme al fratello Nesli) “Ringrazio“. C’è il punto di vista di Saviano sulla legalizzazione delle droghe leggere (“Skit – Considerazioni“), la collaborazione con Laioung in “Dipinto di Blu“, quella con i Thegiornalisti per il tormentone estivo “Pamplona“, la voce (e le note) di Daniele Luttazzi sul fondo di “Money For Dope 2017” – ricordate il disco di Daniele del 2005?

Vi chiedete se è ancora l’Eminem nostrano?
Però anche voi, che domande del cazzo.