Partiamo dal tuo nuovo disco il doppio live “Dal vero”, come mai dopo oltre 20 anni di carriera solista hai deciso di pubblicare un disco dal vivo?
Oltre ad averne voglia, era un appuntamento che non volevo più rimandare, tanti me lo chiedevano da anni. In più con questa nuova band, i Lostiguana, ho sentito che sarebbe venuto fuori un disco buono e completo. Mi proponevo di realizzare finalmente un documento il più fedele possibile di ciò che sono e faccio quando salgo sopra un palco.
Tieni conto però che i nostri concerti non sono mai uguali, e quindi anche questo disco non è uguale al prossimo concerto che ti può capitare di sentire.
Nel disco è presente Ian Paice, come lo hai conosciuto?
Tramite Ivano Bosello, che è un promoter appassionato dei Deep Purple e del rock d’annata. Aveva intenzione di chaiamare Ian Paice per un concerto per l’Avis e ha pensato a me come chitarrista della serata. Ecco come ho incontrato Ian Paice, da quella volta abbiamo fatto altri concerti insieme.
Personalmente mi è piaciuta molto la tua versione di All Along The Watchtower di Dylan la trovo molto personale, come mai hai deciso di incluedere questo pezzo che nella versione originale si discosta abbastanza dalla tuo modo di suonare?
Perchè una volta lo suonavo alla maniera di Hendrix, finchè un giorno durante un sound check mi è venuta fuori questa versione che sembra un blue grass stoppato con dei sapori spagnolo/russi. Oltre a divertirmi, mi è sembrata nuova e soprattutto mia.
Suoni spesso brani di Hendrix, è stato lui la tua maggiore influenza musicale?
Veramente non suono tanti brani di Hendrix, ne faccio in media due per serata. E non è la mia maggiore influenza musicale, anche se importantissima. Ci sono molte altre cose, le più disparate.
Cambiando argomento, come vedi il panorama musicale italiano?
Squallido. Non voglio parlare di quello ad alto livello, che è tempo sprecato. Ma anche quello live è peggiorato, con tutte queste tribute e cover band. Diciottenni che suonano la musica della generazione dei genitori se non dei nonni. E’ noioso e anche triste. Ma la colpa non è solo dei musicisti, è degli incontrollabili che controllano e decidono tutto. La televisione e la pubblicità ci sta riempendo di bisogni che non abbiamo e ci toglie perfino le cose più scontate. Per farti un esempio stupido ma chiaro, non sappiamo neanche più insegnare ai ragazzi come si bevono gli alcolici, e siamo in Italia, non in America!
Tu sei un amante della stratocaster cosa ti piace di più di questa chitarra?
Mi piace perchè è l’unico tipo di chitarra che conosco priva di limiti di espressione e dinamica. Certo mi piacciono anche altri modelli, ma nessuno ha la capicità di rispondere agli stimoli che gli dai come una stratocaster. La uso dal 1970 e non ho mai cambiato. La posizione dei controlli di volume e tono è perfetta per le mani. Certo il suono bisogna tirarlo fuori con un po’ più sforzo e concentrazione rispetto ad una Les Paul, ma ne vale la pena.
La tua musica spazia un pò in tutti i generi dal blues al rock fino quasi al country, idealmente dove collocheresti la tua musica?
In tanti luoghi… qualche volta dentro un film, poi dentro una birreria fumosa con un palco di legno scuro. Oppure sulla vetta di una montagna innevata o sull’ala di un gabbiano bianco.
Oltre a Jimi Hendrix quale è stato il chitarrista che ti ha più impressionato e perchè?
Rory Gallagher quando ero molto giovane, per il suo stile furioso e disperato e la sua semplicità.
Mi è sempre riuscito meglio identificarmi con uno così che con altri più famosi e più rock star.
Elencami 5 dischi da salvare e 5 da bruciare
Rapsodia in Blue di Ghershwin, un disco di Jerry Reed forse, Live & Well di BB King, le Variazioni Goldberg di Bach, forse Hendrix. ma se avessi fretta di salvare degli oggetti, credo che per primo salverei una chitarra.
Bruciare non brucerei niente, c’è sempre qualcun altro a cui piacciono le cose che non piacciono a me.
C’è secondo te ora tra i giovani chitarristi italiani un nuovo Tolo Marton?
Non che io sappia, e comunque non sono neanche sicuro che ci sia “un” Tolo Marton. Nel senso che non mi considero così importante come musicista. Sono parecchio insicuro per natura riguardo alle mie possibilità, ma per fortuna attraverso anche dei periodi di autostima.
Tu hai passato diverso tempo negli Stati Uniti, cosa puoi raccontarci di questa tua esperienza?
Ce ne sono tante ma ci vorrebbe tempo. Ma la più importante, al di là delle soddisfazioni e anche le difficoltà, è che lì la musica è una cosa anche normale, una colonna sonora che accompagna la vita della maggior parte delle persone. E questo, se ci pensi bene, è la chiave di tutto.
Come mai hai pubblicato solo 8 album da solista? Casualità o scelta precisa del tipo meglio pochi ma buoni?
Sì, ho pubblicato pochi dischi, di cui la maggior parte sono autoprodotti. Questo è dovuto al fatto che non sono bravo a propormi alle case discografiche e ai manager, e loro non sono molto bravi come talent-scout.
Parlaci dei tuoi progetti futuri
Di solito a questa domanda rispondo che, come musicista, non so neanche quello che mi succederà fra un mese. Dunque, il disco dal vivo l’ho fatto, e questa era la cosa più importante che ho avuto in mente in questi ultimi anni… Con calma, mi piacerebbe realizzare un secondo disco di brani strumentali, tipo “One Guitar Band” che avevo pubblicato nel 1983.
Vorrei anche fare un tour teatrale e inserire delle sonorità acustiche qui e là.
E ora che ci penso, migliorarmi come cantante. Il che non significa scimiottare i neri ma solo imparare a essere padrone della mia voce, come ho cercato di fare con la chitarra.
Ti ringrazio ancora per la disponibilità, un saluto e spero di vederti presto dal vivo.