Gran bel modo di offrirsi al mondo questo “Eun”, non c’è che dire. Una compilation, per giunta doppia, per presentare in una veste al solito ben curata( e piena zeppa di note…) gli artisti già in catalogo, i candidati al soglio e una nutrita milizia di sodali,affini e profeti della medesima visione estetico/musicale. Ci avevano fatto drizzare le proverbiali antenne con quel discreto spaccato di novecento italiano di provincia che è stato“A Cavallo Del Deviatore” di Lilli Burlero & I.Mago e siamo andati a ritroso scoprendo che la piccola etichetta santarcangiolese aveva già seminato e bene lungo il suo fecondo ancorché breve percorso; la polverosa opera prima degli Indica Moon, delicata poesia notturna dagli echi Gun Club e Paisley, ancora troppo poco considerati rispetto al valore dimostrato sul campo per gusto e personalità, la scalcinata combriccola degli Insolito Clan, banditori di piazza senza una causa, uomini al megafono davanti ad un pubblico di soli cani randagi( qualcosa del Silvestri “politico” ma disincantato, l’epica tutta italiana della sconfitta cara a Gaetano,marcette e kazoo/swing…), e le ancora acerbe ma interessanti proposte musicali di Jewels For Caribou e L’Officina Del Rumore. Accanto ai nomi già noti la raccolta propone un bouquet di fragranze rare e di finissimo pregio, realtà tra le quali si stagliano alcuni dei i migliori prospetti sotterranei del Belpaese( e un plauso al fiuto del Re Biscio….) e che ci auguriamo di vedere presto al debutto discografico, magari proprio tra le squamose grinfie del mostro; parliamo in particolare delle gentili elucubrazioni dei torinesi Someday, del pastiche linguistico in forma pop dei Mad Pour l’Unheard, Eh,già il mostro…eccolo all’orizzonte, gli occhi rossi gli brillano come rubini nella notte e l’alito fetido che imputridisce l’aere; chissà se potrà mai perdonare la nostra tracotanza nel non averlo ancora presentato ai lettori e proviamo a porvi rimedio finchè avanza tempo. Si tratta del Re Biscio(o il Basilisco “caro” ai greci, se cosi vi piace…), malefica creatura della memoria romagnola affamata delle carni di giovani fanciulle indifese e che la leggenda vuole talmente orribile all’aspetto da rimanere ucciso sul colpo alla sola vista della propria immagine riflessa in uno specchio…. [RB = Re Biscio; q = qaphqa, D = demiurgo : ovvero il monarca che striscia e i suoi umili serventi]
Rocklab: Quando, come e perchè avete deciso di risvegliare la creatura dal proprio melmoso giaciglio?
Q: Chi ti dice che non ci abbia risvegliati lui? Due anni fa, in Valmarecchia, si è diffuso un fischio agghiacciante, oltreumano. Era una specie di chiamata a raccolta. Non potevamo lasciare che si disperdesse lungo il letto del fiume, chissà per quanto ancora.
D: In quel periodo non avevo una ragazza…
R: Di folk in questi anni ne abbiamo ascoltato e digerito parecchio, talora di gran classe: minimalisti voce e chitarra, filobalcanici con orchestra al seguito, microchirurghi del laptop in vena di smancerie… Per quanto le vostre proposte musicali siano assolutamente variegate mi pare emerga evidente un certo amore per la Madrepatria, per la tradizione “verace”…
D: È il successo di un fallimentare progetto di emulazione esterofila..
Q: He he… Personalmente non so dirti quanto di “verace” si possa percepire, in filigrana, nelle nostre proposte musicali. È tutto così sottoposto a rimescolii, stratificazioni e viraggi che la madrepatria – se ha ancora senso il concetto – vi si ritrova senz’altro spaesata. Ma questo è indubbiamente il frutto di un vigoroso patrimonio indie: storico e, a monte, cognitivo.
R: E dire che in questi anni una certa riscoperta di suoni sommariamente folk c’è pur stata. Peccato si sia limitata a tarante, tarantelle, Avion Travel e carrozzoni vari… quant’altro c’è ancora da scoprire e contaminare?
D: Il ritorno al folk ha una componente costrittiva. Quando non hai i soldi per pagarti un laptop, un synth e così via, la tua testa continua a creare in ogni caso, anche se tutto quello che hai a disposizione è una vecchia spanish guitar della Eco con un adesivo anarcoide e a cui puntualmente manca la prima corda.
Q: Non è poi del tutto vero che la ribalta neofolk si sia limitata alla riscoperta delle espressioni popolari nostrane e ai più vistosi tentativi di sintesi col cantautorato. Il panorama è estremamente ricco e aspetta solo che alle piccole realtà sia concessa più attenzione da parte dei media, tarati sugli standard del “sicuro successo”. Poi: il recupero di tarante, furlane, ballos pesados eccetera è una cosa, le ibridazioni post-moderne rispondono ad altre esigenze creative. L’approccio è profondamente diverso: c’è un crossover di culture tradizionalmente separate, quella cosiddetta popolare e quella cosiddetta dotta. Si può dire che molta sperimentalità indie-folk ripete quello che è già accaduto nella storia della musica col jazz: una fusione di culture molto lontane fra loro: background, saperi, immaginari, approcci, stili. Solo che l’indie-folk non può dirsi un movimento culturale. Semmai un’esigenza sentita da molti artisti. Cellule naturalmente separate. La Ribéss, nel suo piccolo, cerca di connetterne alcuni.
D: Eccolo lì.
Q: Vabbè allora rilancio. Prendi quello che fecero Queneau, Perec, Calvino & soci con l’OUvroir de LIttérature Potentielle. Poi prendi quello che han fatto Matt Elliott, Yann Tiersen, l’Association Catalogue & gli altri con l’Ou.Mu.Po e l’Ou.Ba.Po.: in musica e fumetto. Quelli sono esercizi nutrienti. Alla contaminazione, più o meno programmata, non c’è limite. Da questa premessa banale viene una conclusione che suona sconcertante se applicata con serietà: dovremmo essere ormai abbastanza maturi da mettere nel cassetto concetti come «contaminazione» se non li usiamo con un’antica consapevolezza e con finalità nuove, temerarie. Anche la mitogenesi era contaminazione. Ma perdio, anche i Gemelli Diversi.
R: La vostra compilation è sommariamente divisibile in due parti; da un lato gruppi ed artisti che hanno già fatto uscire del materiale per Ribéss Records, dall’altro le prime scelte del vostro personalissimo Draft. Come siete venuti in contatto con questi artisti e con quali tra questi c’è già un discorso ben “avviato”?
RB: ssssszzzz…
Q: È il Re Biscio che mi suggerisce di andarci piano. Hai detto bene: “sommariamente”. In realtà i due dischi dell’antologia (A un passo dalla tana e Nella tana del Re Biscio) si scambiano volentieri gli inquilini. Semplicemente non volevamo prescrivere una cesura, del tipo chi è dentro è dentro e chi è fuori sta bene dov’è. La comunione d’intenti che c’è fra gruppi più o meno vicini, o anche lontanissimi dal micromondo Ribéss, si rispecchia in quell’osmosi fra i due dischi. Quanto al “discorso ben avviato”, temo che il Re Biscio non ci consentirà a cuor leggero di fare nomi a questo stadio dei ragionamenti. Ma voglio azzardare: Mad pour l’Unheard e Daniele Maggioli. Se poi Nostra Bisciosità s’incazza ci riserviamo il diritto di rivalsa nei tuoi confronti. Ora però tieni presente che in questa prima antologia ci sono stati anche, per motivi anche solo tecnici, dei grandi esclusi. Ma qui mi mordo la lingua sennò il Re Biscio avanza diritti di rivalsa sulla sorella del Demiurgo.
R: Degli artisti presentati alcuni mi sono piaciuti moltissimo, altri mi hanno incuriosito, qualcosa (molto poco a dire il vero…) ovviamente non mi ha convinto del tutto. Ma se dovessi fare un complimento all’operazione nel suo complesso è che nulla di essa mi è parso scontato o mi ha lasciato indifferente… non poco davvero…
Q: Da questo momento puoi ritenerti oggetto di attenzioni da parte del Re Biscio. Prepàrati al rito d’iniziazione. Ma stiamo sull’antologia…
RB: sssssssszzzzzz…
Q: …Sì l’operazione è intricata, difficile da mantenere sui binari. Se poi la inquadri nel più tortuoso progetto antologico (Éun, perfino nel titolo, si dichiara capostipite di una qualche progenie), e nello sterminato progetto dell’etichetta ti accorgi che nulla è così frivolo e gratuito. Per rimanere in tema, quello che cerchiamo di fare alla Ribéss è di dare forme sensibili, e fluide, alla nostra piccola cosmogonia portatile.
D: Le attività musicali già bollivano in pentola da un paio di anni ed Éun è la fotografia, sia pur sfocata, di un momento. Compilarla è stato come dire: abbiamo avuto l’impressione che sia successo e che stia succedendo, ma non si sa cosa succederà. E poi fa così strano parlare di “scena musicale”. A quel punto, più che parlare di scelta, si parla di salvare tutto il salvabile di un patrimonio territoriale. Ecco, questo si che è un discorso da vero burocrate romagnolo.
Q: Occhio. Quello sono io. Stai nel tuo.
RB: ssszzz!
Q: Grazie Maestà. Lei è un bel rettile.
D: Il mio brano preferito di Éun è Pietro della Banda Putiferio. È come contemplare un buco nero, ma nello stesso momento ha una tragicità d’altri tempi. Al secondo posto, parimerito, Poco prima dello scontro dell’Insolito Clan e Rimini dei Fitness Pump. Queste canzoni non sono migliorabili.
R: Siete totalmente autarchici per quanto riguarda il processo di registrazione, mixaggio, realizzazione della veste grafica e quant’altro? E quanto costa produrre un “buon disco” per un’etichetta come la vostra?
Q: Veniamo entrambi – come si confà ai domestici delle tane – da una discreta gavetta nell’ambito dell’organizzazione eventi. Associazioni culturali. Volontariato. Faidatè perforzadicose. Stili di vita dandy-monacali. Siamo cresciuti facendo fruttare al massimo l’ombra di uno spicciolo. Alla Ribéss abbiamo assunto a metodo questa abitudine al risparmio: d’altro canto non c’è alternativa, considerano i costi di un’etichetta. Le nostre produzioni sono economiche, da qualunque punto le prendiate, ma nel bilancio consuntivo pesano come macigni. Bevo… [breve pausa alcolica, ndr] Non te la sto a menare sul momento storico della flessione degli acquisti discografici. Certo è che il cd non è più un oggetto degno di ascolto e di acquisto, nè già un oggetto meritevole di essere collezionato, come invece il vinile, il libro antico, la sacra reliquia, la scheda telefonica. Può darsi che, nell’era del digitale ormai consapevole di se stessa, un oggetto geronto-digitale come il cd non abbia ancora accumulato abbastanza sacralità per tornare ad essere appetibile.
D: Il punto è che spesso un brano non aumenta il suo potenziale comunicativo solamente perché registrato meglio del demo. Anzi spesso succede il contrario e se ne pagano conseguenze gravissime se perpetuate su un intero album senza una dovuta e competente sorveglianza. Il bello della Ribéss è che puoi, grazie al suo stretto rapporto con la terra di origine, immaginare i gruppi suonare e registrare nei posti più impervi e suggestivi. Per tutto il resto ci siamo dovuti improvvisare a seconda dei casi, produttori, fonici, grafici, tipografi, fotografi, modellisti, promoter… oltre che personal trainer e psicologi dei gruppi. Un po’ come gli intellettuali del XV secolo…
RB: ssssfffzzzzz…
D: Scusi Eccellenza. È solo un umile paragone. Dicevo: come gli intellettuali umanisti e rinascimentali, che sapevano fare un po’ di tutto: dal giardinaggio alle strategie di guerra. Infatti siamo cotti. Per la cronaca, il costo di una produzione indie da battaglia si aggira intorno ai millecinquecento euro compresa la tiratura minima di trecento copie che poi non sai a chi dare. Ma a stare proprio bassi!
R: E ora parliamo della “mitologica” scena italiana. Avendo oramai maturato una piccola esperienza come ne parlereste ad un alieno? Tutti la nominano ma nessuno la conosce? Anche se a volte pare proprio che senza la classica “cerchia” si corra il serio rischio di rimanere fuori da tutti i giri e ce ne si rende conto osservando quanto poco suonino quei gruppi un po’ fuori contesto…
D: Tutti sono preoccupati e tutti fanno qualcosa. Anche se, stringendo, un’alternativa pacifica all’album non è ancora stata inventata. È solo una questione di tempo. Finiti i rotocalchi di webzine, classifiche indie, myspace party, ambigue tattiche di cooperative e compagnia bella, con le loro centinaia di iniziative, festival e incontri politici a favore dell’exploit indie, rimane poco da sbattersi. Non che non servano alla divulgazione, ma debellano il contatto umano, l’incontro casuale con l’arte e non fanno che aumentare la lotta per lo spazio vitale. Non c’è cosa più bella che vedere una persona entrare in un negozio di dischi con l’intenzione di comprare delle pile stilo o in qualsiasi altro posto dove sta girando una tua canzone e sentire chiedere: ”Chi sono questi?”
Q: C’è anche molta faciloneria. Gruppi che hanno il solo talento di sapersi presentare al pubblico e alla critica in un modo studiato a tavolino, imparato guardando le foto su Rumore, vengono incoronati paladini dell’indie, trionfano per il mondo come imperatori umanisti e i promoter se li contendono. Poi è naturale che le agenzie sbarrino il roster ai gruppi che escono dai canoni.
R: Palustre, Tafuzzy, Ribéss… realtà che oltre ad essere parecchio valide dal punto di vista musicale paiono sostenute da progetti molto ben definiti… cosa sta succedendo in Romagna?
D: Succede che, dopo cinquant’anni di sbornia economica, prima o poi c’è da pagare il conto. E si è tutti un po’ più melanconici: una sensazione che non ti molla neanche al largo sui pedalò. Bisogna riconoscere che Davide dei Mr. Brace, con la Tafuzzy, è stato un apripista.
Q: La Romagna ha appena iniziato ad affrontare la sua gastronomia come cultura anzichè solo come sistema alimentare: figuriamoci cosa si aspetta dalla musica. Ho generalizzato ma l’accostamento regge. Le etichette come la nostra riflettono poetiche minoritarie, che difficilmente profetano in patria così come al di fuori. Il critico laziale o lombardo ci legge come un fenomeno locale; qui non ci conoscono o, se va bene, ci trattano con la diffidenza che si riserva ai cazzoni, agli sprovveduti o ai folli. Alla fin fine ha un senso parlare ancora di nicchie. O derive genetiche. Ma con questo ho volutamente aggirato la tua domanda. Ti confido che non saprei risponderti. Ma sembra di assistere a una sporulazione di maturità. Però può darsi davvero che la vediamo solo noi.
R: Ci sono altre realtà, italiane o estere, che apprezzate particolarmente per scelte artistiche che ritenete affini? Ve lo chiedo anche perchè nella compilation avete gentilmente pubblicato anche artisti che escono per altre etichette…
D: Lasciamo perdere. Meglio non fare questa domanda a un cacciatore di album e di demo come me. Ho un entusiasmo musicale che si eccita troppo facilmente. Sono sempre così affamato di immaginari che spesso ho il problema di sopravvalutare un gruppo fino a vederci un po’ quello che mi pare a me. Ma sì, è meglio gridare al lupo una volta in più che in meno.
Q: Ribéss records è conquistata dal proprio territorio ma non per questo ne è succube. Come si è scritto nell’introduzione a Éun, a ben vedere non è un’etichetta ma un atteggiamento. Va da sè che atteggiamenti affini chiamino simpatia e stima reciproche e propensione ad abbattere le tipiche barriere, erette dalla micro-economia mentale, che separano realtà geograficamente distanti. Su Éun abbiamo pubblicato gruppi non Ribéss: per motivi diversi, anche complessi, ma non per “gentilezza”. Per motivi simili stiamo collaborando con Out of Round records, etichetta indie-folk di San Francisco. Certo poi l’affinità ci porta anche ad allacciare con doppia annodatura queste nostre zattere tarlate in balia degli eventi.
R: Ho avuto modo di apprezzare e recensire con entusiasmo sulle pagine di Rocklab l’ultimo album di Lilli Burlero & I.Mago, splendido biglietto da visita per il sodalizio musicale e l’etichetta tutta. Ritengo abbiano trovato una strada piuttosto inconsueta per spolverare di colore e “leggerezza” influenze invero pesanti: penso a De Andrè, Gaber, Guccini, Branduardi presi e portati per mano in un sentiero di collina… senza timori reverenziali e con un gusto letterario mai fine a se stesso…
Q: Pensa che nè i Lilli nè I.Mago avevano la minima intenzione di rifarsi a De Andrè, Branduardi o – lo aggiungo io – Battiato. Gaber e Guccini li hai tirati in ballo a tuo rischio e pericolo. Se Lilli & I.Mago arrivano a ricordare questi personaggi lo fanno per vie così traverse che ci si dovrebbe chiedere come diavolo sia potuto accadere. La storia dei Lilli Burlero, in particolare, scorre su binari a loro volta irriproducibili. E se mai si ferma per rifornimenti, sceglie stazioni ben diverse: Aristofane, Calasso, Alan Moore, Wedekind, Cocteau Twins, Van Morrison…
D [che è anche il demiurgo dei Lilli Burlero, ndr]: Penso di essere molto migliore come collezionista-ascoltatore di dischi che come cantautore-compositore. Se non fosse per gli altri dei Lilli, non saprei neanche da dove si parte per scrivere un brano.
Q: Falso modesto!
D: Non è vero! Lo penso sul serio.
Q: Allora te lo dico io: ci sai fare, checazzo.
D: Ha! Questo lo dici tu…
RB: ssszzz!
D: Comunque la mia collezione di dischi è totalmente esterofila.
R: Il disco A Cavallo del Deviatore è dedicato al vostro caro Marecchia (improvvidamente declassato a torrente dal sottoscritto in sede di recensione; mi converrà starne alla larga per non incappare nella tremenda vendetta delle sue acque… e dei suoi mostri). Volete raccontarci qualcosa di più?
D: È successo tutto tra l’ottobre del 2005 e la primavera del 2006. Un’ernia alla schiena mi si aggrava tutto d’un botto. Vado di cortisone e in lista per l’operazione. Gli ultimi preparativi per l’uscita del nostro primo album Aulacamera cantato in inglese. Rimango bloccato su un letto per 20 giorni. Provo a fare qualche passo. Il momento in cui i Lilli Burlero avrebbero dovuto condividere i fasti con gli altri gruppi italo-estereofili passa senza sfiorarci. L’ernia si sfoga. Decido di suonare un po’ meglio la chitarra acustica e mi rivolgo al Mago [amichevole contrazione di I.Mago, ndr] che è un virtuoso. Non faccio molti progressi, ma imparo cos’è una scala dorica e il Mago ci regala cinque pezzi strumentali. Scopro di avere un vicino di casa che suona la fisa come un francese. Che poi è imparentata con la musica romagnola, la fisa.
Q: [gli esce una risata dal naso, ndr]
D: Decidiamo di cantare in italiano, ma non sappiamo di cosa parlare nei testi. Non ho mai ascoltato musica italiana. Di cosa parlano le canzoni italiane? Lo chiedo al cantante dei Lilli, Marco, cresciuto tra i due fuochi di Cocteau Twins e Battisti periodo Panella: mi risponde che i Cocteau non parlano di niente e Panella parla di tutto. Quella sera sono uscito a fare una passeggiata nel parco del quartiere dove sono nato: quel parco era il letto dove un tempo scorreva il Marecchia. Quel luogo concentra in sé tutti gli elementi di un tempio affettivo. Coincidenza ha voluto che il Mago sia nato, invece, proprio nel quartiere intorno alla parte deviata.
R: Dal Marecchia a San Leo, dai racconti della Rimini liberata e “presa” allo sbuffare pigro dei treni tra la pianura e il mare (avrei potuto aggiungere con Ribéss “ti porti a casa un sorso di Romagna” ma per decenza lo tengo per me)… Con tante e tali storie da raccontare ci si chiede perchè poi molti autori nostrani debbano per forza guardare oltreoceano…
Q: Quando l’immaginazione langue, per ravvivare il fuoco ci butti dentro quello che hai. Qualcuno ci butta le velleità. He! Ma che stronzate pedanti mi escono.
D: Se uno guardasse bene oltreoceano scoprirebbe canzoni come My Father’s House di Springsteen o etichette goth-folk stradaiole come l’Out of Round records, dove i fiumi vengono fatti scorrere al contrario. Poche note, molte seghe [singing saws, ndr…] e quell’ancestralità tra le dita e lo strumento. Nella vita farei altro. Cosa ci manca?
R: Lilli Burlero & I.Mago seguiteranno a lavorare insieme o sono destinati a vite separate?
D: Sono assolutamente destinati a vite separate. Il Mago è tornato ai suo primi amori, i pub e i 70 euro a serata. I Lilli ultimeranno per settembre la prima parte di una trilogia intitolata Culto Cartoon. Ovvero la storia di una colonia immaginaria dove si coltiva il caffè Salomè. Che non è la stessa cosa del Cacao Meravigliao. O forse sì.
RB: sssssfffffzzzzzzz!
R: Dopo il lungo letargo pare proprio che il Re Biscio abbia tutta l’intenzione di tormentare i nostri sogni e solleticarci i padiglioni auricolari con tutta una serie di uscite nei mesi a venire…..