Attitudine e visuals: figli scapestrati di un power trio anni novanta. Disposti sul palco come a sottolineare il rifiuto di ogni concetto di frontman, vestono e sono quello che ogni barbuto apprezzatore di buona musica si aspetterebbe, jeans e t-shirt, barbe, capelli lunghi e sudore, niente pose, niente spocchia. Siamo sul palco e suoniamo per voi, punto. Bentornato rock and roll! Vero poi che sono andati a finire sulla colonna sonora di Twilight (d’altronde c’è finito pure Thom Yorke), ma non aspettatevi teschietti o altre amenità para-emo del genere: sono l’esatto contrario. L’unica concessione a “quell’immaginario lì” è il caschetto nero della bassista, una ragazza albionica alta e secca, quaranta di piede, viso bianchissimo e naive, legnosa nelle movenze quanto nell’uso della chitarra basso, che col suo visetto pulito pare dire “ma chi me l’ha fatto fare”. Gli altri due sono boscaioli del Nebraska nati a Southampton.
Audio: il Circolo fa il suo sporco lavoro, niente di che, ma il concerto ha per lo meno “la botta” giusta. Da sotto palco si sentiva bene, nelle retrovie non so, ma il problema non sussiste, dato che la sala era per un terzo vuota, disertata da un pubblico di edonisti del il weekend e dell’estate che avanza.
Setlist: il disco (nemmeno tutto, buuh!) + il singolo di Twilight.. D’altronde, quello c’è. I brani però sono maledettamente buoni, acchiapponi senza mai perdere di vista lo stile e l’onestà degli intenti, arrangiati come iddio comanda, sia nell’uso dei controcori che nelle strutture, rinverdiscono una nozione di musica tanto popolare e radiofonica quanto intelligente e ben scritta come solo i grandi sanno fare. Mancano all’appello Cold Fame, la ballata acustica Honest, e Dull Gold Heart, una delle ballate più Radioheaddose (The Bends epoque) del mazzo.
Momento Migliore: Baby darling doll face honey/ Well, I don’t mean to cause you worry!
Pubblico: estivo, e in ogni caso molto meno del previsto per una band che sulla carta dovrebbe essere di richiamo. Ho sempre più spesso l’impressione che Roma risponda molto bene alle serate spilletta, non altrettanto bene a quelle dove davvero solo la musica è quello che conta. In ogni caso no emo, no spilla, molti barba, e qualche giovine fanciulla in attesa di licantropi.
Durata: terribilmente scarsa. Il disco è uno, e loro ci provano anche ad allungare il brodo con qualche intro stiracchiata e una mini-jam al centro del concerto. Ma che ne so… una cover, o quantomeno un bis? Niente. Tuttavia il concerto è gratis, conciossiacosaché zitti e mosca.
Locura: niente locura, siamo barba. Respect & head banging + mano a cornina alla fine del concerto.
Conclusione: Inferno e paradiso. La band dimostra di avere caratteristiche peculiari che fanno sperare bene per il futuro, e non solo del loro, ma della musica tutta: hanno la barba, l’attitudine giusta, la mancanza di fighetteria, suonano con la botta come dei fabbri medievali, e sono dotati di una maturità invidiabile per un debut album. I pezzi sono tremendamente buoni e freschi nella loro classicità ed eleganza rock. Manca: perizia tecnica e sicurezza sul palco, inanellano diversi errori ben percepibili, sbagliano quattro o cinque attacchi. Non tutte le canzoni sono rese con la stessa intensità. Però non è da questi particolari che si giudica un giocatore. Convocati in nazionale.