Democrazia #6 – The Maniacs – New Candys – Med in Itali

Già con la crisi di idee che c’è in giro non c’è da ridere, ma ispirarsi troppo a qualcuno si rischia di diventarne il tributo, d’altra parte è pure peggio farsi produrre il proprio album da un’altra band, è capace che ne diventiate il proprio mini-me.

Settembre, muovete il culo, è tempo di migrare. Mentre il mercato sta ancora scaldando i motori per le uscite discografiche d’inverno e progetta i famigerati album per le feste stile “Vasco canta le più belle canzoni di Natale”, mentre la televisione riassesta il palinsesto e realizziamo che la Tatangelo sta ad X-factor esclusivamente come gancio per il pubblico dei napoletani neomelodici, nell’underground italiano non si muove una foglia a livello di idee. Questa volta mi è presa la sbronza triste, il giro di ascolti mi ha un pò buttato giù, ora vi spiego il perchè.

Partiamo dai The Maniacs, trio milanese post grunge, che al primo ascolto mi hanno subito impressionato. Cazzo i Foo Fighters, uguali. Come se avessere fatto una tesi sul songwriting alla Dave Grohl, avessero smembrato e riattaccato i pezzi e avessero fatto un remix a cavallo fra The Colour & the Shape e There’s nothing left to lose.

Capiamoci, le canzoni funzionano (This Co. Music e Crash i migliori brani) ed il disco è fatto bene e la band suona per davvero – anche se mancano 1) i soldi che servono a 2) pagare un produttore come Gil Norton per lavorare bene le chitarre, come album è un pò carente nella produzione dei suoni, azzeccati ma con poco spessore – ma la mia domanda è perchè, con tutte le buone intenzioni, perchè fare un disco così, così aderente allo stile di una band famosa da risultare praticamente un tributo. Chi mai (in Italia o all’estero) dovrebbe preferire i Maniacs agli originali? Ci hanno già provato The Styles oltretutto, che si facevano pure le foto con i Foos, quelli veri, e scrivevano sul sito che ricevevano apprezzamenti da Grohl stesso, dicevano che il rock non si canta in italiano e poi sono finiti a cantare “io sono newrante”. Ecco, questo è quello che succede alle band che sognano di essere…un’altra band. Il fatto è che questi milanesi non sono affatto malvagi e non sto qua a dire nè di lasciar perdere o di fare qualcos’altro, l’unica cosa che posso dire è: prendete queste canzoni, prendetevi il tempo che serve e fatele in italiano, contestualizzatele all’ambiente in cui vivete e farete la differenza dalla altre band.

[Intermezzo] Penso che tutte le band che si definiscono “La risposta italiana a inserire nome” debbano andarsene affanculo.

Secondi alla prova dell’ascolto sono i New Candys di Treviso, band surf-garage con la prima uscita ufficiale. Durante l’ascolto, mentre andavo a cercare on line notizie extra sul gruppo ho pensato come fossero simili ai Mojomatics, pure loro trevigiani. Manco a dirlo, il disco è prodotto da Matteo Bordin, componente appunto di questi ultimi.

Mah. Allora ho pensato alle band che si fanno produrre da altre band che li rendono dei loro mini me. Una specie di Sindrome di Stoccolma musicale dove i gruppi prodotti sono ostaggi innamorati dello stile che appartiene ai loro produttori. Parafrasando l’intermezzo, i New Candys sono la risposta italiana a qualcosa che in Italia c’è già. Non mi piace lanciare anatemi, non mi piace istituire dogmi, ma in fondo sono convinto che registrare da altre band non sia una buona idea, che difficilmente un buon artista è anche un buon produttore/fonico. Vuoi che il tuo disco suoni come i Tre Allegri? Non chiedere a Toffolo di farti il disco, vai dal suo produttore, che il primo infonderebbe troppo di sè stesso in qualcosa che a lui non appartiene in quanto pensata, ragionata e composta da altri. Decisamente sono un sostenitore della divisione delle carriere fra artisti e fonici. Comunque l’ep parte con i pezzi migliori (“Surf little surfer” e “Involution”) ma si perde in brani con dinamiche più piatte ed una scrittura poco ficcante per cui alla fine i brani risultano poco efficaci e con poco impatto emotivo.

Gli ultimi sono quelli che invece hanno risollevato il morale della giornata: i Med in Itali di Torino, quattro buskers che hanno lasciato il marciapiede irlandese per portare la loro musica sui palchi italiani. Il vero talento che si trova dentro questo miscuglio di funk e jazz è il modo in cui sono riusciti a fare aderire le linee vocali a un genere che solitamente non prevede nemmeno la presenza di un cantante. “Bruco”, così è chiamato il cd, snocciola uno dopo l’altro brani suonati in maniera impressionante (sono giovani ma suonano come quelli della vecchia guardia, basta ascoltare “Intro-Se” per capire l’abilità che possiedono) ma con un piglio radiofonico, dato dalla presenza del sax, un pò nello stile dei cantautori italiani negli anni ’80 (“Soluzione al tempo” ne è un esempio). Di una cosa mi sono convito all’ascolto: questa non è musica che va al giorno d’oggi per la maggiore e i Med in Itali musicalmente sono i veri outsider di qualsiasi scena possiamo vantare (e non) nel nostro paese. Difficilmente un ventenne potrà immedesimarsi in questo sound, piuttosto in questo caso ci si orienta verso ascoltatori più adulti.