Attitudine e visual: nella sua ormai decennale carriera Caparezza ha calcato più di un palco importante, riempiendo palazzetti e piazze con la sua musica ed il sempre crescente stuolo di fan. Portare avanti un tour a suon di palazzetti sold out però è dura per chiunque, se non si parla di festival o si mettono in gioco opening act di buona risonanza. Sia chiaro: il Pala Isozaki era gremito, festaiolo ed urlante, sugli spalti pullulavano flash atti ad immortalare la chioma riccioluta più celebre di Molfetta, ma nonostante il tutto esaurito, in parterre si stava belli comodi, il che in fondo non è poi un male per un concerto scalmanato ed energico ma all’insegna delle giravolte danzerecce più che del pogo forsennato. L’idea è quella di una bella festa, sempre coadiuvata dal connubio di teatro e musica che ha reso celebri le rime di Michele Salvemini, un caba-rap o un caParett direbbe lui forse, una carovana trasformista degna d’un Arturo Brachetti in vacanza nel Paese dei Balocchi, che mira però ad allontanare dalla suddetta meschina località attraverso la riflessione, il dialogo sagace-ironico, il siparietto satirico.
Audio: una band di signori musicisti quella che accompagna il mattatore Caparezza: comprimari preziosi dotati di perizia tecnica e affini al mood teatrale dell’Eretico, stanno al gioco e danno forma al supporto strumentale che si fa terreno fertile per i germi lirici del Capa. Le basi però non sono mai invasive e, cosa da non trascurare date le innumerevoli occasioni in cui testi in lingua italiana si perdono per strada, ogni parola sputata con disarmante incisività dall’atipico rapper arriva al mittente con chiarezza.
Set list: ricca, varia, eterogenea: doveroso spazio al Sogno Eretico con pillole di saggezza post-Inquisitoria quali Il dito medio di Galileo, La Ghigliottina ed House Credibility, seguite dalla rovinafinalicinematografici Kevin Spacey, la fuga dei cervelli di Goodbye Malinconia, la reggae-invettiva Legalize the Premier, l’enigmatica Cose che non capisco ed il manifesto shakespeariano Ti sorrido mentre affogo. Mancano all’appello la più seria e cantautoriale Non siete Stato voi e stranamente il dictat anticonformista Chi se ne frega della musica. In mezzo le hit conclamate: dalla foga virtuale di Abiura di me, le tarantelle di Vieni a ballare in Puglia, la vendetta post adolescenziale di La mia parte intollerante, l’esistenzialismo sovversivo di Iodellavitanonhocapitouncazzo. C’è spazio anche per una traccia pescata dall’album di beneficienza dei Rezophonic: l’esplosiva Nell’acqua (“Non qua non là ma nell’a-cqua”). Nessuna traccia delle fatiche più datate del rapper (quelle più smaccatamente hip hop nello stile ma già atipiche per contenuti e modalità d’esecuzione). Non pervenute anche le attese Torna Catalessi e Dalla parte del toro, ma soprattutto una della canzoni più significative quanto fraintese dell’ultima decade: quella Fuori dal tunnel diventata inno per eccellenza nella carriera di Caparezza. Comprensibile dopo scempi, abusi commerciali e una sacrosanta reiterazione forzata nel corso degli anni, la decisione nell’artista di Molfetta di non metterla in scaletta?
Locura: per il paroliere pugliese la locura è all’ordine del giorno, i siparietti tragicomici si fanno linfa vitale dello show tanto quanto la messa in musica. Tante le risate. L’entrata sulla falsa riga di programmi come Mistero e Voyager che vede i musico-attori entrare in scena con maschere grottesche a là Maya/Aztechi ricorda i mille travestimenti eccentrici di Elio e le storie tese. La parodistica versione di Chi vuol esser milionario intitolata per l’occasione Chi vuol esser lasciato in pace, l’allunaggio spaziale su un razzo-supposta gonfiabile sporco di cacca (tramite concettuale tra Vengo dalla Luna e Cacca nello spazio), la domanda da un milione di dollari sull’identità del tastierista di Caparezza (con le opzioni Ray Manzarek, Beethoven e Keith Jarret!).
Pubblico: uno dei pregi(-difetti?) di Caparezza è che unisce all’interno di un unico calderone genti d’ogni sorta. Il suo è un potere aggregativo veicolato da una musica traversale, che attita-colpisce-interessa su più livelli, fornendo diverse chiavi di lettura. Ecco allora unirsi i rapper meno legati a clichè d’oltraoceano, rocker duri e puri, patiti del dancefloor ed orfani dei Gem Boy. Ma soprattutto ecco individui di tutte le età, grandi e piccini, dai teenagers che non capiscono una cippa dei rimandi polito-social-culturali dei testi di Caparezza agli amanti del cantautorato più colto e pungente, dalla chiave di lettura adulta e consapevole dei genitori al divertissement dei più piccoli attirati dal groove tammarro-giostraiolo delle basi. E’ comunque insolito quanto piacevole vedere tanti pargoli di età comprese tra i 4 e i 10 anni saltellanti nelle prime file del parterre.
Conclusioni: una grande performer, una grande live band, show, show e ancora show. Caparezza ha un progetto in mente (oltre “rimanere sempre adolescente”): veicolare messaggi importanti tramite un’ironia aperta a tutti, ricoprire la pillola di zucchero insomma. Ed è esattamente questo che fa con il suo piacevolissimo spettacolo. Ad alcuni potrà risultare fastidioso, così apparentemente immerso in quel suo mondo cartoon, ma in realtà Caparezza fornisce una visione del mondo tutt’altro che fumettistica. La sua grandezza sta nel fornire sempre più chiavi di lettura: esattamente come i Simpson o i Griffin, che piacciono a adulti e piccini, ignoranti e non.
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