Tennis – Young & Old

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Lo sport del Tennis è, al livello sonoro, molto monotono: se si chiudessero gli occhi senza far caso alla eleganza e alle movenze dei giocatori, per quanto abili, si sentirebbero solo dei Pah, per la palla che si scontra violentemente con la racchetta, a volte ovattati , a volte scoppiettanti e vivaci a seconda della forza o dell’effetto del colpo, alle volte accompagnati dall’esultanza gioiosa dei tifosi, ma essenzialmente sono sempre Pah. Non c’è nulla in quel suono che possa permettere divagazioni musicali. Nulla.

Allo stesso modo il secondo lavoro della felice coppietta di Denver, prodotto da Patrick Carney, il tizio leptosomico dei Black Keys, è un continuo susseguirsi di pezzi abbastanza monotoni che silenziosamente vengono sbatacchiati nelle linee di fondo campo di una musicalità retrò ormai deceduta, senza mai uscire dal confini delle convenzioni stilistiche. Le atmosfere Surf-Pop fanno respirare l’aria frizzantina dei parchi verdeggianti appena fuori dai campi tennistici in piena estate: una tovaglietta a quadratini rossa e bianca stesa sul prato, un cestino da picnic, una bottiglietta d’acqua rigorosamente liscia e l’eco del vinile dei Tennis che risuona nelle stanze ludiche del circolo sportivo. Tutto molto anni ‘60.

L’atmosfera ariosa di Young & Old si differenzia ben poco da quella del loro disco precedente, di appena un anno fa, Cape Dory, con il quale si fecero notare (e del resto come non notare la copertina con Alaina Moore, la cantante, che, come Lisa Hartman sulla copertina di Hold on, tenta di rafforzare i muscoli addominali o forse tenta una posa seducente…non l’ho capito). Debitori dei Beach House, ma non all’altezza, della sensuale voce dei Blond Readhead più rilassati, e del sole cocente sulle spiagge americane in pieno stile Baywatch, i Tennis, creano un mix molto lineare di pop melodico composto con pochi elementi e poco caratterizzati.

Ci sono comunque dei pezzi che mostrano un piccolo e faticato miglioramento ad esempio la ritmata Origins corredata con coretti alla Florence + the Machine e un pianoforte che accompagna fluidamente tutto il pezzo; oppure la riuscita My Better Self con i sempre funzionali battiti delle mani. Nonostante la monotonia, è un disco onesto, rilassante e giocoso; e sicuramente migliore all’album d’esordio: mostra un minimo di originalità in più.

La coppietta musicale più hipster del Colorado si sta forse rivelando piano piano? Certo darsi un solo anno per la produzione di un disco è stata una scelta troppo affrettata, che non ha permesso ai Tennis di studiare nuove formule espressive adeguate al salto qualitativo; e la registrazione stessa, trasuda imprecisioni a livello di equalizzazioni che rendono il risultato abbastanza caotico.

Speriamo di aspettare abbastanza per un nuovo lavoro, stavolta davvero convincente.