Jack White – Blunderbuss

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Personalmente da uno capace di elettrificare una coca-cola, mi aspetto sempre qualcosa di incredibile. Invece oggi il buon Jack, giunto alla prima prova solista, decide di fare il punto della situazione componendo un’opera che altro non è se non la summa delle sue esperienze. Abbandonata la batteria della burrosa Meg (White Stripes), il ruggito da pantera nera della splendida Alison (Dead Weather) ed il supporto cantautorale dell’amico Brendan Benson (Raconteurs), il nostro propone qui il materiale registrato durante il suo recente percorso fatto di collaborazioni illustri (Tom Jones, Insane Clown Posse etc), materiale che a detta sua solo ora poteva essere pubblicato.

Il genio a capo della Third Man Records – Genio anche a livello di marketing grazie alle sue edizioni limitate, e oggetti come la pianola dei White Stripes – apre il tutto con un tuffo nel passato a strisce bianco rosse (Missing Pieces) per poi dare sfogo all’elettricità made in Raconteurs di “Sixteen Saltines”, che non avrebbe sfigurato in Consolers of the lonely. Arrivati al terzo episodio però, il dubbio che Mr.White stia seguendo un filo cronologico si fa certezza. Insomma, ditemi voi se appena udito l’incedere di “Freedom at 21” non abbiate pensato ad una versione cantata dalla Mosshart. Il singolo “Love interruption” e l’omonima “Blunderbuss” rimandano ancora alle aperture per acustica e piano degli Stripes a fine percorso, mentre sorprende piacevolmente la ’50 oriented “I’m Shakin’”.

Un disco a due velocità questo Blunderbuss, capace in un sol colpo di farti rivivere tutta l’epopea White, ma anche di fiaccarsi sul finale. Era lecito aspettarsi qualcosa di più di un mero riassunto?
Dati gli standard e le variabili dimostrate nella collaborazione con Danger Mouse (Rome), forse si.