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16 Ottobre 2012 | Epitaph | JasonLytle.com |
Modesto, California, il luogo di nascita di Jason Lytle. Modesto è come un destino, uno stile di vita per il nostro operaio della musica.
Nato da una madre casalinga e un padre gestore di un grocery store ha nutrito i suoi sogni musicali da dietro la porta della sua cameretta in un periodo in cui nutrire sogni in cameretta non era ancora una moda o un atteggiamento poetico abusato e nauseabondo. Perché modesto lo è per davvero Jason. Non lo ha mai nascosto. Amava lo skate, e lo praticava a livelli preagonistici, ma un brutto incidente al legamento crociato lo costrinse a dedicarsi alla musica in maniera più intensiva. E così dalla sua cameretta produsse qualcosa che lasciò un segno nella storia, la leggerezza, l’amabilità e l’amore delle piccole cose dei Grandaddy. Quattro dischi quattro che portarono la sua band sui palchi dei club di tutto il mondo. Ma dopo dieci anni di questa vita si accorse che i fumosi backstage e le interviste non facevano più per lui, lo stavano tenendo lontano da quello che amava per davvero: le passeggiate in mezzo alla natura, le escursioni in mountain bike, le sue interminabili sperimentazioni da music geek nello studio di registrazione casalingo. Così prese tutto e se lo buttò alla spalle. Doveva sciogliere la band e andare a vivere nel Montana: “dove stare a stretto contatto con la montagna, e un sacco di paesaggi lontani, per incominciare di nuovo a immaginare le cose”.
Un pendolare tra il mondo della creatività e quello della vita di tutti i giorni. È questo il senso di Yours Truly, The Commuter (Con affetto, vostro, il pendolare) il primo album solista del nostro. E questo è il secondo: I work for the department/ The dept. of disappearance (lavoro per il ministero, il ministero della scomparsa). Questo il motto, la realtà attuale di Jason Lytle.
Il discorso riprende da dove era stato lasciato, con qualche intrusione in più nel mondo grandaddyano rispetto all’episodio precedente, che non mancherà di affascinare chi ha amato i picchi creativi della band, The Sophtware Slump e Sumday.
La prima traccia, la titletrack, riverbera ancora dell’amichevole brillio del Crystal Lake, Matterhorn (il monte Cervino!) ha gli stessi struggimenti di Jed The Humanoid, gli stessi accordi in minore e la stessa epica di fondo, per poi riaprire il cielo in un ritornello che arriva dopo un temporale autunnale, a inserire suoni sintetici che sembrano venire da un computer abbandonato e diventato alcolista.
Hangtown è la storia di “un’impiccagione, raccontata dal punto di vista dell’albero dal quale il tizio pende, dopo che tutti se ne sono tornati a casa”.
La natura è sempre benevola, celebrata, accarezzata, ma non come una musa, piuttosto come la ragazza che ti aspetta in pigiama con un pasto comprato al KFC e un film da vedere insieme. E così ci si ritrova a cantare del Last Problem Of The Alps (l’ultimo problema delle Alpi) dove troverete un inserto meraviglioso à la He’s Simple, He’s Dumb, He’s The Pilot, da cui si esce con un “ora faccio legna, riempio la stufa, mangio la mia zuppa e scrivo le mie annotazioni, ricordando l’ultimo problema della Alpi”.
E quando sentirete Chopin Drives a Truck To The Dump (Chopin che guida un camion verso la discarica) capirete che nel mondo di Lytle si celebra ancora l’innocenza degli oggetti morti, abbandonati, la poesia delle cose che non piacciono a nessuno.
Gimme Click Gimme Grid è forse l’episodio più alto del disco, modestamente, in ultima posizione: una ballad di modernariato elettronico, con una drum machine a dare un ritmo da chill out, ma veramente uncool, per poi sciogliersi in piano e in un assolo di chitarra che non sarebbe dispiaciuto ai Queen più struggenti:
“Sulla Norwood Avenue c’era una negozio dove mi fermavo ogni giorno andando a scuola, e nella vetrina vedevo uno scenario fatto di miniature e di piccole cose”
Oggetto tra gli oggetti, lasciatelo in pace Jason, a darci sempre lo stesso, amichevole, disco.