Beachwood Sparks – The Tarnished Gold

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Dieci anni, da qualsiasi prospettiva li si consideri, sono un arco di tempo immenso e gravoso. Nell’industria discografica segnano l’avvicendarsi di formazioni e tendenze più o meno rilevanti e più o meno effimere, mentre dal punto di vista umano e individuale marcano, in gioventù, quella tortuosa evoluzione che traghetta l’adolescenza verso i temuti lidi dell’età adulta. Una decade è anche il periodo che separa l’ultimo Ep dei Beachwood Sparks (“Make the Cowboy Robots Cry”) da questo Tarnished Gold, primo prodotto della reunion avvenuta nel 2008 per omaggiare i 20 anni d’attività della Sub Pop.

Tanto tempo è passato da quando, poco più che liceali, gli Sparks muovevano i primi e impacciati passi nell’underground losangelino, calcando amorevolmente l’impronta di Neil Young e degli Uncle Tupelo.

In un susseguirsi di matrimoni, incombenze “adulte” e innumerevoli collaborazioni con altri progetti (Ariel Pink e Interpol, per dirne un paio), ognuno dei membri della band ha oramai abbondantemente superato la soglia dei trent’anni, portando a compimento una maturazione, umana e musicale al contempo, cominciata spiritualmente in quel 2002 di repentina rottura. Tante scelte irrevocabili, fior di esperienze poliedriche e divergenti, solo per approdare, inaspettatamente, al punto di partenza. Già, perchè Tarnished Gold, fin dal primo ascolto, manifesta una freschezza ed una continuità sorprendenti, se rapportato all’ispirazione trasognatamente adolescenziale degli esordi; la stessa che deve aver colpito a tal punto il regista Edward Wright da indurlo ad accorpare la canzone “By Your Side” (cover in salsa jangly d’una hit di Sade) nella colonna sonora del nerd-cult cinematografico “Scott Pilgrim versus the World”.

“It’s time to stop pretending\those days, those days are gone” recitano le primissime righe del testo di “Forget the song”, canzone d’apertura: un’intima consapevolezza della gioventù che arranca via inesorabile, trascinando nel suo flusso autocommiseratorio tutti i sogni intangibili e le aspettative irrealistiche che furono; eppure la musica, cullata soavemente dai fumi ovattati d’una slide guitar, fluisce in una stasi obliante, quasi a rimarcare la placida accettazione (“those old wounds have turned into scars”) della fine di quella “endless summer” vagheggiata in tanti oziosi pomeriggi adolescenziali. D’altronde, come emerge dai deliqui acustici della title track (“funny how when you find what you’re looking for\it was already there”), forse è inutile cercare troppo lontano quel cantuccio di primavera permanente in cui rifugiarsi quando tutto sbiadisce.

Con premesse di questo genere, l’eco nostalgica e cristallina dei Byrds e dei Flying Burrito Bros non poteva che impregnare tutto l’album, in particolar modo la filigrana lucente di minuscoli gioielli jingle jangle come “Sparks Fly Again” ed “Earl jean”, o la narcosi contemplativa della languida “Leave That Light On”. Tra le poche eccezioni vanno segnalate la dimessa e bucolica “Water from the Well”, screziata da commoventi sfumature folk e gospel, e la zoppicante cantilena mariachi di “No Queremos Oro”, curiosamente vicina a certe sonorità dei Calexico, sebbene depurata dal torbido sapore di alcol impastato a polvere.

Certo, i Beachwood Sparks non saranno benedetti dalla creatività e dal misticismo visionario dei Fleet Foxes (che pure, all’epoca, non mancarono di influenzare attraverso la loro rilettura del country-rock da Laurel Canyon), ma l’affiatamento e il mestiere dei musicisti, uniti alla indiscutibile maestria negli arrangiamenti e alla dolcissima vena intimista e malinconica che pervade ogni composizione, conferiscono ad alcuni brani un fascino abbacinante e senza tempo che deterge con un secco colpo di spugna il sentore d’una forse eccessiva omogeneità, o la presenza di qualche episodio meno brillante degli altri.

Chissà, magari ve ne accorgerete anche voi, quando, avvinti dai profumi e dalle fragranze estatiche della meravigliosa “Nature’s Light”, ripenserete alle parole vergate da Sandro Penna “forse la giovinezza è solo questo\ perenne amare i sensi e non pentirsi”.

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