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13 Novembre 2012 | Mercury | Soundgardenworld.com |
King Animal non è un disco, ma una cartina tornasole capace di evidenziare i target di riferimento di quasi tutte le riviste – Cartacee e non – che si siano cimentate nella sua descrizione – Più o meno forzatamente. Non voglia questo essere un capo d’accusa nei confronti di chi, smarcandosi frettolosamente dal compito, abbia inserito meramente l’opera nell’ambito dei solistici scivoloni Cornelliani, piuttosto, l’opportunità intrinseca – e da non perdere – di capirne il motivo.
Del resto il passaggio su Virgin Radio assicurerà all’opera una buona scrematura di utenza Indie-snob. Per coloro che invece abbiano realmente intenzione di ascoltare il “Re animale” eliminando strutture mentali pregresse, pregiudizi di genere e sulla sua riproposizione, le porte dell’Hard Rock a tinte Psichedeliche saranno aperte per tutta la durata dell’albo. Si, i Soundgarden sono tornati, e sono proprio loro, non la copia in trielina buona per l’incasso al botteghino. Certo, benché possa dimostrarvelo, so benissimo che i più rimarranno comunque scettici, premendo fortemente sui cavalli di battaglia più abusati – in quel caso giustamente – da parte dei detrattori del Cornell solista, annodando insulti contenenti quasi sempre le parole chiave “Post produzione” e “Non ci arriva con la voce”, a loro dico: “Non sapete più godere!”. Ma posso capire, troppe volte abbiamo assistito al ritorno dei morti viventi per poi ritrovarci con in mano un pugno di seghe a vuoto chitarristiche, – nello specifico poi, riportare alla mente “Scream” nel quale Cornell flirtava con Timbaland, non aiuta – ma questo non è il caso, qui l’essenza è intatta. Siamo ancora là, con “Bones Of Birds” non ci siamo spostati di un secondo dal 1993, – perché è lì che va inserito cronologicamente Ndr -, fuori piove e la depressione della Grunge-Scene si specchia malinconicamente sulle pozze ricavate da un asfalto-rock in cerca d’identità. L’eco dei primi Pearl Jam – Qui fondamentale l’esperienza di Matt Cameron con gli stessi – rimbomba nell’oscura malinconia di un suono che si fa preghiera, che è già tiepido ricordo del buon Layne Staley, e del concepire il rock a patto che sia trasfigurazione del proprio mal di vivere.
Ecco, è cosi incredibile entrare nel mood di “Taree”, chiedendosi cosa ci abbia tenuto lontano da tutto questo e perché ne veniamo cosi colpiti. Non privo di spina dorsale, tra le sue fila King Animal annovera anche vere proprie stilettate come non se ne sentivano dai tempi in cui gli Stone Temple Pilots viaggiavano sul binario Core-Purple – Il singolo con il quale domandano gentilmente scusa per la lunga attesa, “Been Away for Too Long”, ma anche “Non State-Actor” -. È una band più matura questa, capace di dosare in maniera quasi maniacale i pugni di cui sopra con le carezze – Black Saturday e Halfway There -, sfiorare lo stoner dei Q.O.T.S.A spolverandolo dalla sabbia in eccesso – By Crooked Steps -, rallentando solo successivamente i giri per l’ingresso del pachiderma Kyussiano “Blood On The Valley Floor”. Sul finale, “Eyelid’s Mouth”, prima canzone composta dopo la reunion, svela il motivo per il quale si sia affrontato questo progetto partendo dal presupposto giusto, ovvero quello di proporre l’essenza stessa della band. Come se il tempo non fosse mai passato, come se tutti gli scribacchini annoiati dalla caducità delle proprie ossessioni non fossero mai nati.