Allah-Las – Allah-Las

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Los Angeles, retrobottega di Amoeba Music, Pedrum Siadatian sta rimestando 45 giri usati dentro uno scatolone di cartone. Alcuni di essi subiranno la sorte del kamikaze, schiantati contro un muro, altri, capaci ancora di suscitare interesse nel pubblico Losangelino verranno sistemati e aggiunti alla collezione dello store.

Questa la palestra, questo il motivo per il quale lo stesso Pedrum si ritrova oggi immerso nel progetto Allah-Las dall’alto della miriade di ascolti retrò occasionali. L’esordio è di quelli che lasciano il segno, non nella storia, ma nella genesi di una tipologia di ascoltatori neoclassici conosci dell’entità finita della musica rock e della bellezza insita nella sua riproposizione ciclica, speziata e smarcata dagli originali soltanto dall’approccio che le nuove generazioni donano ad essa. È questo in buona forma che spinge la bava fuori dalla bocca per un lavoro che non sposta una virgola nella storia del rock, riproponendo studio e gavetta d’ascolti di un manipolo di ragazzotti appassionati del Nuggets sound.

Planando sulle onde Hawaiane di “Sacred Sand” – Vera gemma Garage-Surf, capace d’ingolosire il più lussurioso scavafosse – si viene rapiti dal flashback, dal rumore del piede che tiene il tempo mentre i Sonics incontrano i Byrds “Don’t you forget it”, i Crawdaddy’s certo Paisley – Dei Long Ryders “Busman Holyday”, ed i Remains si spiaggiano sorseggiando cocktail tropicali.

Come archeologi del Sixties sound i nostri selezionano, spolverano e ridestano ogni singolo riverbero, ogni jingle-jangle per giungere ad un’opera finita di sfavillante intensità. Anche questo è essere rock nell’era digitale, anzi soprattutto questo lo è.