Io Non Sono Bogte: “La discografia è solo uno dei tanti simboli di un mondo vecchio che muore”

Io Non Sono Bogte è sinonimo di musica pregna di contenuti. È come un ritratto originale, come lo specchio di un’immagine che riflette un altro sé nella realtà che ci circonda, L’album d’esordio, La discografia è morta e io non vedevo l’ora, nascondendosi dietro i “disastri discografici” del titolo, rivela inquietudini personali e dissesti socio-culturali fusi all’irrequietezza ritmica. Il tutto è racchiuso all’interno di una scheda USB da 2Gb simile a una musicassetta. Abbiamo incontrato Daniele Coluzzi, mente e voce del progetto, per saperne di più.

Il personaggio Bogte da quali idee prende vita? È uno pseudonimo, un alter ego o entrambe le cose? È un nemico da combattere o un amico lontano da raggiungere?
Bogte è entrambe le cose. Per molto tempo è stato per me un alterego, un doppione che ha provato a vivere al posto mio a tal punto da diventare uno pseudonimo. Nasce quando ci si crea qualcuno contro cui combattere, e quando gli si assegna più forza di quanta se ne possieda. Niente di contorto e psicotico comunque, Bogte prende vita da tutto quell’insieme di ansie e frustrazioni personali di cui ognuno di noi fa esperienza nella vita. È senz’altro un nemico da evitare.

Perché è meglio non essere Bogte?
Perché altrimenti si rischia di non vivere la propria vita. Essere Bogte, per me, significa vivere secondo regole e modelli che non mi appartengono, che non mi farebbero stare bene. Non essere Bogte significa quindi accettare di essere ciò che si vuole!

Il titolo dell’album, La discografia è morta e io non vedevo l’ora, contiene in sé i germi della “provocazione” e della realtà attuale. Da dove nasce questa magra consapevolezza e in che modo è stata riversata all’interno di un intero disco?
Ci ha un po’ sorpreso il modo in cui questo titolo è stato preso. Spesso nelle recensioni e nei commenti al nostro album tutto si riduce al descrivere quanto siamo o quanto non siamo provocatori. Provocare non è il nostro obiettivo primario: noi diciamo delle cose, le nostre cose, in cui inevitabilmente si riversano pensieri sulla società e sul momento storico in cui siamo immersi, ma il nostro vero obiettivo è parlare, raccontare, condividere. Il tema della discografia di per sé si riversa ben poco nei testi dell’album, la frase del titolo è solo una delle tante, la discografia è solo uno dei tanti simboli di un mondo vecchio che muore. Tutto il resto, che è il vero succo dell’album, parla solo di noi.

Cosa c’è che non va nell’attuale panorama musicale italiano ed è ancora in qualche modo possibile fare musica indipendente nell’Italia del 2013?
Ma certo che è possibile. Se tutti smettessimo di preoccuparci della parola “indipendente” e cominciassimo a partecipare a più concerti, sarebbe anche più facile. Quello che non va in Italia sono i talent show, e l’inconsistenza dei loro contenuti e dei loro protagonisti.

Da dove è nata invece l’esigenza di scrivere il libro-manuale Rock in Progress – Promuovere, distribuire, far conoscere la vostra musica. È anch’esso una sorta di istantanea della situazione odierna? Cosa vuole in definitiva trasmettere?
In un certo senso il titolo dell’album è più legato al libro che ho scritto l’anno scorso che alle canzoni stesse: in Rock in Progress ho cercato di affrontare dettagliatamente l’intricato mondo delle produzioni discografiche in Italia, soprattutto quelle definite “indipendenti”, per cercare di dare consigli e fare luce sulle nuove possibilità che mezzi come internet hanno generato. Che la discografia sia morta è la chiara conclusione del libro, alla quale chiunque l’ha letto è arrivato da sé, e non sono io a dichiararlo, ma la cinquantina di intervistati tra musicisti, discografici, giornalisti e tecnici. Nessuna provocazione quindi nell’album, solo una presa di coscienza!

Cosa intende Io non Sono Bogte per “discografia”?
Un vecchio modo di intendere il mondo della musica, la sua produzione, la sua distribuzione: un modo che ha privilegiato la promozione di gente senza scorza, che ha mandato avanti persone incapaci piuttosto che idee valide, che ha contribuito al degrado culturale del nostro paese, di cui per esempio i talent sono solo l’ultima e più evidente manifestazione. Non ce l’abbiamo quindi con le case discografiche in toto, ma con le scelte di alcune. Allo stesso tempo, altre ci stanno molto simpatiche.

Il disco è uscito in un formato quantomai innovativo ed inusuale, una scheda USB da 2Gb simile a una musicassetta. Come mai questa scelta che sembra quasi un simbolo di un Mondo che si evolve e cambia?
La scheda usb è un simbolo, nel nostro piccolo abbiamo cercato di lanciare un messaggio nuovo, e cioè che oggi le cose sono cambiate, che possiamo intendere la musica in modo diverso. Per esempio la scheda usb è riutilizzabile, si può cancellare il nostro album e metterci i propri file, in uno scambio continuo di dati e idee. Detto questo, è chiaro che non stiamo indicando un nuovo metodo di distribuzione, non ce l’abbiamo col cd!

La cover dell’album invece cosa intende comunicare?
Ci ha fatto sorridere il modo teatrale in cui i personaggi di Caravaggio si disperano per la morte di Cristo. Ci sembrava molto azzeccata per esprimere la morte della discografia, se togli Cristo dall’immagine i personaggi sembrano improvvisamente sollevati. Insomma, non vedevano l’ora! La copertina ha ricevuto la nomination ai MarteLive Awards come migliore copertina del 2012. Speriamo bene!

Come sono nati testi crudi e intensi come Margareth nella testa e Papillon?
I testi nascono sempre da fatti autobiografici o a volte dalla semplice volontà di raccontare una storia.

E di Ti ho confessato tutto il mio amore che mi dici?
Sono molto affezionato a questo testo, è breve eppure mi ricorda tantissime cose. È una piccola riflessione sul tempo, sull’amore e sulla propria inadeguatezza di fronte ad esso. Certe volte stai vivendo un momento molto intenso, stai facendo un passo importante, stai dichiarando qualcosa, e tutto viene di colpo messo in secondo piano da un evento accidentale, insignificante, magari anche imbarazzante.

Una particolarità dei testi è quella di fondere macerie di realtà socio-culturale alle disillusioni della vita quotidiana, privata e amorosa. Sono in fondo due facce della stessa medaglia?
Ma sì, non credo si possa realmente parlare della propria vita privata senza tener conto di ciò che ci succede intorno. Per quanto mi riguarda è tutto incredibilmente, irrimediabilmente fuso insieme, tutto ci influenza, e non capisco come una certa canzone italiana si senta in grado di parlare di emozioni, sensazioni, sentimenti, senza tener conto che tutto quello che ci accade ha delle radici profonde nella società, nel modo di pensarci e di intenderci. Al contrario, non si può parlare della realtà sociale e culturale senza parlare anche di sé e dei propri disagi, sarebbe solo un reportage documentaristico, pura e semplice Storia.

 Il forte realismo dei testi pregni di disillusioni, conflitti, fragilità, frustrazioni, ansie e debolezze contiene comunque germi di speranza e visioni di un futuro possibile migliore?
Assolutamente sì. Parlare dei problemi è un modo per esorcizzarli e pou distruggerli, secondo me i testi sono, sotto lo strato più superficiale, molto ottimisti.

Cosa accadrà nel futuro prossimo di Io Non Sono Bogte?
Usciremo da Roma, per far conoscere live le nostre canzoni, e poi registreremo diversi videoclip. Ne abbiamo già in cantiere 3!