Hip Hop evolution in Italia #1: Join The Dark Side: ovvero, come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba

Di fronte a grandi tragedie umanitarie, per esempio all’intervento militare in Kosovo del ’99 o al terremoto in Abruzzo del 2009, gli artisti nostrani hanno risposto con un singolo ad hoc e una serie di concerti volti a collezionare fondi da devolvere agli enti che gestiscono queste disgrazie. Sebbene i risultati artistici parlino da soli (“Il mio nome è mai più” di Ligajovapelù e “Domani”, interpretata più o meno da tutti gli artisti italiani viventi, non hanno bisogno di ulteriori commenti) gli intenti sono stati senza dubbio nobili.

Per ricostruire l’istituto superiore Galilei di Mirandola, devastato dal terremoto in Emilia di quasi un anno fa, questa volta il singolo scala-classifiche/raccogli fondi è stato partorito esclusivamente da artisti della scena hip-hop italiana, nella fattispecie Emis Killa, Marracash, Club Dogo e J-Ax“Se il mondo fosse”, questo il titolo del brano. Il singolo è regolarmente balzato in testa alle classifiche di vendita, raccogliendo un plauso trasversale da parte dei media e dei fan. Sorvolando nuovamente sulla qualità del brano, è divertente rilevare come J-Ax, al tempo degli Articolo 31 crocifisso in sala mensa per la sua esibizione di “Ohi Maria” a Domenica In e in seguito bandito per una decina d’anni dalla Tv di stato, e la stessa Dogo-Gang, additata fino all’altro ieri come pessimo esempio per i giovani a causa di testi a base di “sgrille” & cocaina, siano oggi incensati da tutti i canali di informazione, ormai del tutto sdoganati e riabilitati. Titoli come “Chi l’ha detto che il rap è composto solo da Bad-Boys?” o “Se il mondo fosse: Il rap con il cuore” sono solo un paio di esempi della riabilitazione istantanea, raccattati al volo dalla rete. Ma fino a qui, in Italia, niente di nuovo sotto il sole.

Ad apparire nuovo è il fatto che un’operazione che tempo fa sarebbe stata appannaggio di altri ( uno Zucchero o una Pausini, che poi effettivamente se ne sono occupati a loro volta) possa essere oggi gestita dai “ex-cattivi ragazzi”. Intendiamoci, non che nella cultura hip-hop non siano radicati il supporto alla società o la solidarietà (anzi, l’hip-hop come genere è fortemente intrecciato col concetto di comunità), quanto piuttosto finora queste istanze erano state espresse in maniera differente: per non “sputtanarsi”, i musicisti rap preferivano organizzare gigs locali con raccolta fondi a supporto di questo o quel centro sociale, o per pagare spese legali a chi, ingiustamente vessato dalla legge, non se le poteva permettere. Soprattutto, in un tempo davvero non troppo lontano, vendere dischi per un artista hip hop era una jattura, una disgrazia che relegava nel più infernale dei gironi, quello del “Commerciale”.

L’intento di questa rubrica è di focalizzarsi su un fenomeno come il rap italiano, che, mainstream o meno, sta ormai decisamente cambiando le abitudini e gli ascolti delle nuove generazioni, e sta esprimendo una corrente ben difficile da ignorare. Ogni puntata, quindi, parlerò di qualche artista Italiano attivo da anni o appena affacciatosi sulla scena che abbia, a mio insindacabile giudizio (ma sempre con la possibilità da parte vostra di commentare e, volendo, dissentire), apportato un significativo contributo in termini di “evoluzione” della musica nel nostro paese.

Per intenderci, non si tratterà di stabilire chi sia il più underground fra gli artisti in circolazione o sindacare su chi sia rimasto più vero (argomento noioso che preferisco lasciare ai fansite), quanto piuttosto di una serena riflessione sullo stato dell’arte dell’hip hop in Italia oggi, al di là dei pregiudizi e delle facili generalizzazioni, occupandoci tanto dei mostri sacri più odiati o rispettati, quanto degli esordienti più promettenti o criticati.

“…e non c’è amore per chi resta fuori…” (cit.)