Steven Ansell: “Eccoci qua, ‘Blood Red Shoes’ è quel che siamo”

Abbiamo fatto qualche domanda a quel caro ragazzo di Steven Ansell, batterista dei Blood Red Shoes, per accogliere l’ultimo disco dell’ormai noto duo di Brighton…e ci ha anche risposto! Quindi, mettetevi comodi (ma non troppo) e scoprite i retroscena di Blood Red Shoes accompagnati da alcune chicche di alternatività DIY.

Innanzitutto, quando e perché avete deciso che il vostro quarto album si sarebbe chiamato Blood Red Shoes? E’ insolito, in genere è il disco d’esordio ad essere eponimo…vuol dire forse che questo è “più-Blood-Red-Shoes” dei precedenti?
Beh, non ci sentivamo a nostro agio a chiamare il primo disco “Blood Red Shoes” perché ci sembrava molto poco lungimirante, come dire “eccoci qua!” quando stai solo al primo album, è un po’ come dire che sai chi sei nonostante tu sia solo un ragazzino. Sapevamo che stavamo ancora imparando e cercando la nostra strada e coltivando la nostra identità di band…quest’album ci sembra la miglior rappresentazione del nostro sound e del nostro modo di affrontare le cose, fino ad ora. Sono tutte canzoni pop, ma veramente incasinate come dirty sexy punk rock pop songs. Quindi, sì, credo che questo sia l’album “più-Blood-Red-Shoes” fino ad ora, e ci sentiamo molto più sicuri di dire a tutti: “eccoci qua, questo è quel che siamo”.

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E parlando di identità, ricordo che nel 2008, sul vostro profilo di Myspace, si poteva leggere “WE’RE NOT AN INDIE BAND”: vi dà ancora fastidio essere definiti “indie” (qualora questa parola significasse ancora qualcosa)? Vi sentite ancora distaccati dalla scena musicale del Regno Unito?
Certo, perché il termine indie è usurato, come qualsiasi altro modo di dire nella musica…indie non vuole più dire indipendente, sta solo a significare un tipo di musica che in realtà è molto commerciale, è guitar music leggera. Noi non lo siamo per niente. Siamo molto indipendenti ma anche più oscuri, pesanti e strani e meno commerciali delle band definite “indie” qui nel Regno Unito. Credo che ci sentiremo sempre un po’ distaccati perché avremo sempre il nostro quid, ma ora come non mai mi sembra ci siano più band britanniche con cui abbiamo cose in comune. Ci sono un sacco di band che emergono con cui ci sentiamo imparentati, musicalmente e caratterialmente, ma è piuttosto strano che noi ci siamo costruiti il nostro percorso con 4 album e ora ci sono fantastiche nuove band come i Drenge, gli Wytches, gli Slaves e altri che sono in definitiva molto simili a noi ma appena agli inizi. E’ una buona cosa.

Perché avete scelto Berlino per registrare BRS? Quanto di questa città c’è dentro il vostro disco?
Abbiamo scelto Berlino perché abbiamo sempre amato lo spirito che respiriamo lì durante i tour…è un posto così interessante, conflittuale, diverso da ogni altra capitale, e ha una lunga, interessante e variegata storia musicale. E’ perfetto per noi. E ha sicuramente avuto un impatto sull’album, posso sentire i muri di cemento sul microfono…nel nostro disco posso sentire la combinazione berlinese di sensualità, libertà e lo spirito dei party notturni, ma anche l’oscurità e il sudiciume e la fredda brutalità industriale. Non sarebbe stato lo stesso se avessimo registrato a Los Angeles, sapete?

Mentre registravate BRS, vi siete preoccupati di più di come sarebbe suonato su disco o sul palco? Cos’è cambiato da questo punto di vista da Box Of Secrets?
Beh, non ci preoccupiamo mai del palco. Quando stai registrando stai registrando, è una forma d’arte completamente diversa. La cosa davvero importante in quest’album è stata catturare quella sensazione di un secondo, quella scintilla e quella spontaneità che possono verificarsi in un live, per poi abbellirlo con strati e dettagli che non possiamo ricreare dal vivo. Voglio dire che la resa live sarà molto buona, ma l’album che somiglia di più ai nostri live è sicuramente Fire Like This, il secondo album. Box Of Secrets è più pop e più vocalizzato dei nostri live set!

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‘Cigarettes in the dark’ suona imponente e allo stesso tempo intima, probabilmente è uno dei vostri migliori mix di concretezza e assenza meditabonda: che storia c’è dietro?
Grazie! E’ una delle nostre preferite infatti, e per noi era molto importante scrivere un paio di pezzi come questo che non fossero strettamente canzoni rock dal classico schema verse-chorus-verse. E’ venuta fuori improvvisando, non so che altro dirvi. Ci stavamo divertendo con un sacco di tracce hip hop nel disco, ma un sacco di quelle canzoni non quadravano…questa sì. Abbiamo anche registrato le chitarre mettendo i microfoni ai quattro angoli della stanza con le pareti di cemento dove stavamo registrando, quindi si può sentire il suono della stanza e dello spazio, credo che questo aggiunga una certa sensazione che fa molto “Berlino”.

Una cosa che ci ha sempre dato da pensare è: come decidete chi-canta-cosa in un pezzo? E’ solo una questione di tonalità o vi spartite dei ruoli, tipo buono/a-cattivo/a?
Il più delle volte inizia chi ha in mente la parte vocale, a volte ci scambiamo le parti per vedere se suona meglio…come se ci cambiassimo “dietro un muro”. Dipende tutto da cosa suona meglio nella canzone, siamo entrambe felici di scrivere i testi insieme, o di cantare ognuno le parti che ha scritto l’altra, non abbiamo un’idea circa chi debba essere la voce dominante. E’ sempre la canzone che ti dice quale voce ci sta meglio, noi ci adattiamo e basta.

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Il vostro ultimo album è completamente DIY come al solito, e questo è ammirevole: hai qualcosa da dire per motivare e incoraggiare i musicisti impoveriti dalla crisi economica mondiale (a parte licenziare il bassista per risparmiare?)?
Ahah sì, il mio unico consiglio è essere bravi. Si può fare musica fantastica e registrare abbastanza decentemente anche con una strumentazione molto economica, non avete PER NIENTE bisogno di grandi budget. Quindi, basta che lavoriate duro a ciò che volete fare e attrezzatevi affinché le cose accadano, non aspettate che qualcun altro ve le porga, createvi il vostro momento e, cazzo, vivetelo.