I Lanterns on the Lake sono uno di quei gruppi che non ti aspetteresti. Sanno restituirti con la loro musica – in particolare con il secondo album – un certo tocco magico che ormai stavi lasciando venisse divorato dalla tua sindrome da ascolto compulsivo. Facciamo comunque attenzione a non elogiarli troppo: sono bravi, hanno delle parti strumentali notevoli, una voce femminile che pensi potrebbe essere quella della donna dei tuoi sogni, ma ancora non hanno toccato il loro possibile apice. Noi li seguiamo nella speranza che ogni loro disco possa esistere indipendentemente da quelli precedenti e che possa essere parte di un percorso in continua salita, come ci dicono in questa breve intervista. Ci aspettiamo tanto da questa band britannica, tante emozioni soprattutto.
Intanto, nell’attesa di un terzo lavoro, ci riascoltiamo Until the Colours Run e ci facciamo una bella chiacchierata con la band in questione, in particolare con la cantante Hazel Wilde; che quest’anno, per la prima volta, ha diretto la sua ciurma di musicisti verso lo stivale, a Milano, per una data che ci hanno detto essere stata perfetta. Per chi non potesse essere andato, vi restituiamo quest’intervista, nella speranza che possiate approfondirli e amarli, e ballare sotto le luci soffuse di una loro prossima data.
Nel 2012 avete pubblicato sul sito thefourohfive.com un breve resoconto della vostro tour europeo. Per quanto riguarda questo 2014 cosa potete dirci? Come procede il tour?
Hazel Wilde: Questo 2014 sta permettendoci di fare un grande passo in avanti nel nostro percorso. Ci è comunque sempre piaciuto suonare per il mondo, incontrare nuova gente dopo gli show e visitare nuove città.
Quest’anno è la prima volta che toccate l’Italia, precisamente Milano. E il fatto che finalmente siate passati anche di qui non può che farci piacere. Com’è andata la serata?
HW: L’Italia è sempre stato un Paese che ci avrebbe fatto piacere visitare, e magari suonarci anche; quindi non potevamo che essere entusiasti quando ci hanno annunciato che finalmente avremmo avuto una data a Milano. È brutto sapere che in alcuni Paesi c’è gente a cui piace la tua musica, gente che ti segue con passione, ma che non ha mai avuto la possibilità di vederti live. Quindi aver suonato a Milano davanti a persone che ci seguono da molto tempo è stato bellissimo. E ovviamente ci farebbe molto piacere tornare per il prossimo tour.
Per quanto ci riguarda quest’ultimo album è decisamente migliore del precedente, più coeso e funzionante! Dal vostro punto di vista, è stato una continuazione del precedente Gracious Tide Take Me Home? o piuttosto un punto di svolta nella discografia dei Lanterns?
HW: Fu una decisione che prendemmo consapevolmente, quella di deviare d Gracious Tide. Siamo molto orgogliosi di quel primo disco ma a livello creativo non ci sarebbe sembrato corretto ripetere semplicemente quanto già fatto. Cerchiamo sempre di avanzare, migliorare, come autori, come produttori, come musicisti. Vogliamo che ogni nostro disco riesca a esistere indipendentemente da quelli precedenti e che possa essere parte di un percorso in continua salita.
I suoni elettronici, che definiremmo molto influenzati dai múm, scompaiono in Until the Colours Run. È stata una vostra scelta, o è un cambiamento che è avvenuto naturalmente?
HW: Credo sia stata una maniera di sviluppare questo disco venuta fuori in maniera piuttosto naturale – beat elettronici semplicemente non sarebbero stati adatti, o non sarebbero serviti, alle canzoni presenti in Until The Colours Run.
Quando ascoltiamo Another Tale from another English Town abbiamo l’impressione di trovarci di fronte ad un nuovo gioiellino musicale: a dir poco emozionante. Ci potete dire qualcosa della sua nascita e del suo testo?
HW: Quella canzone è nata piuttosto casualmente quando Ol e Paul stavano giocando, sperimentando, e ad un tratto Paul suonò quella linea di chitarra. Facemmo un demo live della canzone mentre andavamo scrivendola. In realtà è un pezzo nato in precedenza del disco, ci venne ai tempi della registrazione di Gracious Tide; ma capimmo che non avrebbe potuto funzionare su quell’esordio, e sentivamo la necessità di lavorarci sopra ancora molto. Essenzialmente, il testo riguarda alcune decisioni prese in ambito politico e il mio stato d’animo rapportato a quel preciso momento nel Regno Unito. Alcuni l’hanno intesa come una canzone di protesta o una canzone carica a livello socio-politico. Penso questo pezzo sia una reazione naturale a quanto ho visto e esperito in questo Paese durante gli anni. Non è stata una decisione conscia quella di scrivere una canzone “politica” – ma, in quanto compositore, Another Tale fu un risultato naturale della mia esperienza.
Esattamente, alcuni vedono nei vostri testi la prominenza di alcuni temi socio-politici…
HW: Sì, posso capire gli ascoltatori che attribuiscono determinati significati alle nostre canzoni. Ripeto sempre che non ho voluto esclusivamente fare della propaganda politica, o comunque occuparmi di politica, con questo secondo disco, e non voglio usare la politica come un mezzo per attirare attenzione verso la band o come mezzo per vendere copie. Penso che quest’opera sia il riflesso di quanto una grande quantità di persone sente in questo esatto momento – le persone però parlano di questo tipo di cose quando sono al pub con i loro amici; ma per me, in quanto scrittrice, questo esce fuori nei dischi.
Cosa ci dite invece dei recenti cambi nella formazione? Hanno portato a delle differenze notevoli a livello musicale?
HW: Credo che questi cambiamenti siano stati una cosa positiva per noi. Un grande cambiamento che facilita una nuova maniera di guardare alle cose, per farla breve.
Che ci dite della Bella Union? Vi trovate in sintonia con questa etichetta?
HW: Si, è una casa perfetta per noi. Sentiamo che possiamo essere semplicemente noi stessi e progredire in maniera naturale come band con la Bella Union dalla nostra.
In questi ultimi tempi cosa avete ascoltato?
HW: Io personalmente sto ascoltando un gruppo dal nome O Chapman – pezzo Relapser. E sto adorando anche l’ultimo lavoro di Nils Frahm. Davvero bellissimo.
Fino ad adesso quale è stato il vostro live più eccitante?
HW: Oh beh, ce ne sono stati moltissimi. Alcune delle date che più mi spaventano possono rivelarsi essere le più eccitanti. È stato fantastico suonare al festival End of the Road quando il nostro primo album era appena uscito. Avevamo suonato lì un anno prima come “band senza contratto”. Quindi esserci tornati, un anno dopo, su un palco più grande, dopo aver firmato un contratto discografico e aver rilasciato il nostro primo album, fu un momento davvero speciale.
Abbiamo letto che avete registrato questo disco durante un periodo di gravi problemi economici e personali. Adesso come procedono le cose? Avete mai valutato l’opportunità di sfruttare il crowd funding?
HW: Effettivamente non è stato un bel periodo per noi. Credo che particolarmente non lo sia stato per Paul, visto che lui era quello che tentava di missare e produrre il disco con veramente pochi soldi a disposizione. E lo stesso fu problematico per me: è stata una vera battaglia dal mio punto di vista, per vari motivi personali. Ma credo che tutto sia stato parte fondamentale del processo di gestazione dell’album. Aver completato questa missione e finalmente aver rilasciato il disco è stata una grande conquista per noi, dato che tutto sembrava andarci contro.
È cambiato qualcosa nel vostro processo di composizione e registrazione da Gracious Tide, Take Me Home?
HW: Quando registrammo Gracious Tide eravamo ancora lavoratori a tempo pieno, quindi dovevamo registrare tutto in quei pochi momenti liberi che avevamo e, ovviamente, essendo la nostra prima esperienza, ancora stavamo imparando come fare per registrare un disco. Venne fuori quindi in una maniera piuttosto spezzettata – io, Paul o Ol componevamo parti musicali; io e Paul gli davamo una struttura, e io scrivevo i testi. Dopo assieme agli altri registravamo le parti del pezzo separatamente. Con Colours abbiamo lavorato maggiormente in sala prove, tutti insieme. Per la maggior parte delle canzoni creavamo una demo e io e Paul giocavamo con la struttura inizialmente data, prima di registrare la versione finale. Recentemente abbiamo ripreso a lavorare anche come facevamo ai tempi di Gracious. È un bene essere flessibili quando si tratta di come scrivi e registri canzoni – alcuni approcci lavorano meglio degli altri in dipendenza solamente della singola canzone. Proviamo a non generalizzare e a non rendere il solo nessun approccio.